martedì 10 aprile 2012
​"La Montanara" in Uganda: così la fede fa ripartire la vita
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Li chiamano gli alpini di Kireka. Caesar, Freddy, Luigi e gli altri. Fa un certo effetto vederli, questi giovani neri come il carbone, mentre cantano «La Montanara», «La Dosolina» e «Col cifolo del vapore» in una cava di pietra vicino a Kampala, davanti a decine di donne che consumano la giornata spaccando con un martello, a mani nude, blocchi di pietra fino a ridurli in ghiaia. Ragazzi africani che propongono canti di montagna italiani in una cava di pietra dell’Uganda. Strana gente, si direbbe. E anche loro ammettono che qualcosa di strano, o meglio di straordinario, è successo dentro una vita segnata dalla guerra e dal dolore. I genitori di Caesar vengono uccisi dai ribelli del Nord Uganda, lui segue il fratello maggiore che si guadagna da vivere spaccando pietre nella cava di Kireka, uno slum di Kampala. Luigi ha perso madre e padre, bruciati in un autobus per mano dei guerriglieri. La sua vita entra nel buio più totale, rimane solo una domanda: «Ci potrà essere qualcosa di buono per me?». Freddy si è salvato da un attacco al suo villaggio, nel cuore della notte, solo perché era andato a dormire in una missione cattolica lì vicino. Quando al mattino torna a casa trova i genitori morti e la casa distrutta, decide di diventare un bambino soldato per vendicarsi del massacro, ma uno zio lo convince ad andare a vivere con lui. Queste tre storie accomunate dal dolore si incrociano all’International Meeting Point, fondato a Kampala da Rose Busingye, infermiera, per accogliere le donne sieropositive e divenuto negli anni un grande abbraccio e una fucina di iniziative per chi vive negli slum della città ed è in cerca di riscatto dopo le sofferenze causate dalla guerra e dallo stigma dell’Aids (vedere box). Rose, con l’aiuto dei volontari di Avsi, offre cure mediche alle donne, istruzione ai loro figli e a decine di giovani spaesati. Ma soprattutto offre il bene più prezioso che lei stessa ha ricevuto in dono: la fede in Gesù che fa ripartire l’esistenza anche nelle condizioni più difficili. «La tua vita non è definita dalla malattia o dalla povertà, tu vali molto di più perché c’è chi ti vuole bene», dice alle sue donne consumate dall’Aids e ai ragazzi rimasti orfani. «L’ho imparato incontrando gli amici di Comunione e liberazione, e seguendo insieme a loro il carisma di don Giussani che ha letteralmente ribaltato il mio modo di guardare le cose e le persone», racconta Rose, che abbiamo incontrato nei giorni scorsi in Italia. Nel 2007 Caesar, Luigi e Freddy sono in mezzo alla folla che si è radunata a Kampala ad ascoltare don Julian Carron, il successore di Giussani arrivato in Uganda per incontrare la comunità di Cl, le donne e i ragazzi di Rose. Lo sentono parlare di felicità, di desiderio di compimento che arde nel cuore, ascoltano commossi le sue parole, e la mattina dopo Freddy bussa alla porta della donna: «Quelle parole, quello sguardo, mi hanno fatto balzare il cuore nel petto. Voglio diventare anche io come lui, voglio per me la stessa vita che lui vuole. Per questo chiedo il battesimo». Nel pomeriggio all’ufficio di Rose si affaccia Luigi: «Come mi guardava quell’uomo… nessuno mi ha mai guardato così. Voglio appartenere alla stessa cosa a cui appartiene lui». E il giorno dopo anche Caesar si presenta dicendo: «Non ho preso il bus per venire fino al tuo ufficio, non volevo essere distratto, volevo camminare a piedi, in silenzio, pensando a quello che mi era successo il giorno prima. Quell’uomo, mio Dio, quello sguardo ha rimesso insieme i pezzi rotti della mia vita. Voglio per me quello che lui ha per sé, voglio il battesimo».Rose li conosceva da anni quei ragazzi, ma tre facce così liete non le aveva viste mai. E tutti e tre chiedevano di «appartenere» a Cristo perché avevano incontrato uno che a Cristo apparteneva. «Davanti ai miei occhi riviveva la stessa dinamica dei primi discepoli, di Giovanni e Andrea che avevano deciso di seguire un uomo fino al giorno prima sconosciuto».Da quel giorno è nata quella che Rose chiama l’onda. «È stato un susseguirsi di fatti sorprendenti. Quei tre hanno cominciato a seguire il corso di preparazione al battesimo, il loro entusiasmo e l’amicizia che li legava sono diventati contagiosi: dopo qualche settimana erano diventati 22, battezzati tutti insieme la notte di Pasqua. La catechista non credeva ai suoi occhi quando li vedeva parlare tra loro del desiderio che gli ardeva in cuore, parlavano di Gesù come se l’avessero avuto davanti agli occhi. E incontrandoli, decine di altri giovani sono stati investiti da questa onda di novità umana e hanno chiesto il battesimo». Durante l’estate alcuni di loro partecipano alle vacanze internazionali di Cl in Valle d’Aosta, imparano i canti di montagna, quando tornano in Uganda formano un coro che si esibisce in mille occasioni. Passano nei villaggi, nelle scuole, e come un’onda il loro canto affascina e contagia. Contagia l’ambasciatore italiano a Kampala, contagia il nunzio vaticano quando li ascoltano. Ed eccoli lì, gli «alpini di Kireka», a cantare «La montanara» davanti alle donne che spaccano pietre a mani nude nella cava. Ed eccoli lì, poche settimane fa, quando viene inaugurata la «Luigi Giussani High School», un istituto superiore che ospita 400 giovani, molti dei quali rimasti orfani dopo avere perso i genitori uccisi dall’Aids. Si muovono come se fossero un sol uomo, è un’onda di vitalità che travolge anche Rose: «Ora sono io che li seguo, perché in loro rivedo un’esistenza terremotata dall’incontro con Gesù». Questa onda di umanità cambiata fa capire più di tante spiegazioni teoriche cosa vuol dire che il cristianesimo è qualcosa che riaccade oggi. Che la vita può ripartire in qualunque condizione quando è toccata dalla Grazia. E allora si risorge, allora ogni giorno è Pasqua.
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