domenica 27 marzo 2016
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INVIATO A BRUXELLES Ci sono cose a cui sarebbe difficile credere se non le avessimo viste con i nostri occhi. Come quell’atrio della stazione ferroviaria di Bruxelles-Midi completamente sguarnito di sorveglianza nella giornata di Venerdì Santo dopo che il governo aveva abbassato a livello 3 la soglia di allarme antiterrorismo. «Bla bla, bla bla – starnazzava inviperita la bigliettaia – nient’altro che parole, ed ecco il risultato: chiunque potrebbe entrare e far esplodere uno zainetto o aprire il fuoco sulla folla di viaggiatori e nemmeno un agente di polizia, nessuno in assoluto che potrebbe fare qualcosa!». Stranezze del Belgio, che si vanta di essere una società popperiana perfetta, dove – come conferma orgoglioso l’ex premier Di Rupo – «c’è anche la libertà di essere blasfemi», dove la polizia ha il divieto di fare irruzione nelle abitazioni private tra le 21 della sera e le 5 del mattino neanche nel caso che avessero rapito la regina, dove giustamente i bravi belgi un po’ si vergognano perché in certe avventure di Tin Tin (la popolarissima bande dessinée del fumettista Hergé) si respira un nonsoché di razzismo e di colonialismo (e quindi certi numeri non vengono più tradotti in lingala e kikongo – gli idiomi congolesi – e in arabo) e dove la dottrina del politicamente corretto assume forme quasi esasperate. Una società ideale, o quasi. Perché anche qui, nel tempio del multilinguismo, del multiculturalismo, del più ostentato e celebrato pluralismo si aprono falle che solo una vicenda come la tragica sequenza di Zaventem e della metropolitana di Maelbeek hanno avuto il potere di mettere a nudo. La frenetica caccia all’uomo di questi ultimi giorni, per esempio. Un iperattivismo (un altro “ismo”) che purtroppo – nonostante gli indubbi successi, ascrivibili soprattutto alla massiccia consulenza tecnica fornita troppo tardi dai confratelli francesi – ha tutto il sapore di una stalla chiusa dopo che i buoi sono scappati. Perché quando si finirà di compilare il lungo catalogo degli svarioni, dei ritardi, delle omissioni, degli equivoci, delle leggerezze che forze dell’ordine e servizi segreti belgi hanno commesso sia prima sia dopo gli attentati si faticherà anche qui a crederci. Ma già alcuni punti fermi e accertati sono chiarissimi. Eccone una crestomazia: secondo il quotidianoDerniere Heure la polizia di Mechelen, città situata tra Bruxelles e Anversa, era a conoscenza da tre mesi di che cosa si nascondeva dietro l’indirizzo di rue des Quatre Vents 79, nel quartiere di Molenbeek, dove il 18 marzo scorso è stato catturato Salah Abdeslam. L’infor- mazione, secondo la ricostruzione del giornale, era stata inserita in un rapporto destinato alla cellula antiterrorismo della polizia federale che però non è mai arrivato a destinazione. Negligenza? Chissà, forse un terribile ritardo per l’obbligo statutario di redigere in due lingue, francese e fiammingo, ogni informativa e ogni verbale. Ma sentiamo cosa racconta Recep Tayyp Erdogan, non proprio un accanito sostenitore delle democrazie occidentali, che questa volta veste i panni dell’accusatore: per il presidente turco «le autorità belghe sono incompetenti per come hanno gestito le informazioni fornite da Ankara su Ibrahim el-Bakraoui». Il foreign fighter era stato fermato dai turchi nel giugno scorso vicino al confine con la Siria e successivamente espulso verso il Belgio, via Schipol-Amsterdam. Il ragazzo non era esattamente uno stinco di santo. Ma gli olandesi, e se è per questo neppure i belgi, hanno creduto di doversene far carico nonostante la segnalazione dei turchi e il fatto che fosse evaso dalla libertà vigilata che gli era stata concessa nel 2014 dopo una condanna a 10 anni per rapina a mano armata. E così, in tutta tranquillità, libero e indisturbato martedì scorso Ibrahim el-Bakraoui si è fatto saltare in aria nell’aeroporto di Zaventem. Se è per questo anche suo fratello Khalid, anche lui condannato come criminale comune, rimesso in libertà vigilata e sparito dal 22 ottobre scorso, cioè a pochi giorni dagli attacchi di Parigi, poteva, anzi doveva esser tenuto d’occhio. E sorvoliamo su quell’incursione che aveva preceduto la cattura di Salah Abdelsalam nel covo di Molenbeek: i poliziotti lo ritenevano disabitato, invece era gremito di jihadisti che hanno aperto il fuoco. Perché il palmarès della stupidità può essere senz’altro attribuito al ministero dell’Interno, che non ha creduto di chiudere le linee metropolitane dopo la duplice esplosione all’aeroporto. «Non c’è stato il tempo – dichiara il ministro competente (competente?) Jan Jambon (il nome sembra uscito da un film di Mel Brooks) –: la decisione è stata presa alle 8.50, l’esplosione nella stazione di Maelbeek è avvenuta alle 9.11». Ma si sa anche che durante gli attacchi andò in tilt il sistema di comunicazione e gli agenti furono costretti a comunicare usando WhatsApp. Per fortuna il Parlamento di Bruxelles ha deciso ieri di costituire una commissione d’inchiesta per capire che cosa non ha funzionato e accertare le responsabilità. Jambon è sulla graticola. Lo rincuorano i colleghi degli Esteri Didier Reynders e della Giustizia Koen Geens: «Se tutti avessero svolto in pieno i loro compiti, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente». Davvero? © RIPRODUZIONE RISERVATA La ferita Gli attentati hanno messo a nudo le debolezze di una società «ideale» o quasi, nel tempio del multilinguismo e multiculturalismo Alla biglietteria di Bruxelles-Midi non c’è sorveglianza: «Chiunque sarebbe libero di entrare e farsi esplodere o sparare Non c’è un solo agente che potrebbe fare qualche cosa» Un nastro della polizia isola una zona del quartiere di Schaerbeek, alla periferia di Bruxelles (Ansa/Ap)
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