venerdì 10 agosto 2012
​Sempre più cruenta la battaglia nelal città, strategica sia per i ribelli che per le forze fedeli a Bashar al Assad. Ieri 78 le vittime. La Casa Bianca apre all'ipotesi di una no-fly-zone: «Nessuna opzione è esclusa».
Siriani in fuga sbarcano a Crotone
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​Continua l’offensiva delle forze governative siriane contro le aree della città di Aleppo controllate dagli insorti contro il regime di Damasco. Anche ieri la seconda città della Siria è stata attaccata, con raid aerei, colpi di mortaio e carri armati, nei quartieri di Salah el-Din, Hanano, Seif el-Dawla, Shaar e Shakur. In particolare, a Salah el-Din si è combattuto per ore, strada per strada: nel pomeriggio, dopo ripetute smentite, gli ufficiali del Libero esercito siriano (Els) hanno ammesso un «ripiegamento tattico» verso al-Sukari, quartiere adiacente in cui riorganizzare le forze in vista di una controffensiva. Non prima, però, di aver annunciato la morte negli scontri del generale Issam Zahr ad Din, capo delle operazioni militari dell’esercito.Nessuna delle due parti vuole e può permettersi di perdere Aleppo, snodo economico nel Nord della Siria, importante sia sul piano strategico che simbolico: a 40 chilometri dal confine con la Turchia, per mesi la città ha rappresentato un pilastro politico per il governo centrale. Se i generali del Libero esercito conquistassero la città, armi e combattenti avrebbero accesso senza filtro dal confine turco. Nel complesso, le vittime del conflitto civile siriano ieri sono state 78, più della metà nel Nord. Mentre si combatteva ovunque nel Paese, a Damasco il ministro della Sanità Wael al-Halqi, sunnita originario di Daraa, veniva nominato nuovo premier dopo la defezione del predecessore Riad Hijab, fuggito in Giordania 72 ore prima. Ma un’altra defezione di rilievo turba il regime: il capo del Protocollo del palazzo presidenziale siriano, Mouheddine Muslmani, ha voltato le spalle al regime di Bashar al-Assad. Almeno 26 alti ufficiali della sicurezza e dell’apparato militare hanno disertato finora. E, il vice presidente Farouk Shara si troverebbe agli arresti domiciliari per evitarne la fuga, secondo quanto riferito dai Fratelli Musulmani siriani. Rimane comunque solido l’asse fra Damasco e Teheran, impegnata a trovare un’alternativa diplomatica alla crisi siriana. Nella capitale iraniana si è aperta ieri la conferenza “consultiva” sulla Siria coordinata dal ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi e presieduta dal presidente Mahmud Ahmadinejad. All’incontro hanno partecipato 29 Paesi, tra cui Cina, Russia, Pakistan, Afghanistan e Iraq, oltre ad un rappresentante dell’Onu. «La nostra posizione di fondo è per il rifiuto della violenza e in favore di un dialogo nazionale», ha detto il ministro Salehi in apertura dei lavori. Il ministro ha poi ribadito il no iraniano a qualsiasi intervento militare, espresso con decisione anche in un’intervista pubblicata dal quotidiano Washington Post. Per Teheran, la Siria rischia di diventare «un Afghanistan alle porte dell’Europa» e le potenze occidentali «sembrano non preoccuparsene». Sempre sul piano diplomatico, meritano attenzione le dichiarazioni del consigliere per la Sicurezza nazionale e la lotta al terrorismo della Casa Bianca, John Brennan, sulla creazione di una no-fly zone sulla Siria: «Non ricordo che il presidente abbia mai detto che ci sono opzioni da escludere», ha affermato il consigliere. La crisi siriana sta assestando un colpo mortale ai rapporti fra Damasco e Ankara: il ministro turco degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha accusato il regime di Bashar al-Assad di sostenere i terroristi curdi del Pkk inviando armi e sostegno logistico nei villaggi di confine. Accusa peraltro formulata in modo speculare anche da Damasco nei confronti dell’ex alleato. Finora Ankara ha accolto più di 50mila profughi e disertori siriani, rifiutando di chiudere i propri confini come invece richiesto dal regime siriano. Ed ecco le ritorsioni politiche anche nei rapporti con la repubblica Islamica degli ayatollah: Teheran ha sospeso ieri gli accordi che permettono ai cittadini turchi sprovvisti di visti di entrare in Iran. Ufficialmente per ragioni di sicurezza connesse con l’imminente riunione dei Paesi non allineati. A sua volta la Turchia denuncia l’interventismo iraniano in Siria e la presenza di soldati iraniani a fianco delle forze governative. La tensione rischia di peggiorare la situazione dei 48 cittadini iraniani ancora ostaggi dei ribelli siriani: per il momento nessuna mediazione ha avuto successo, ma Teheran ha smentito la morte dei tre fedeli.
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