domenica 3 gennaio 2016
Si combatte la «guerra dell’oppio»: sottratti carichi di droga. Il Daesh controlla già una parte delle rotte verso Occidente. Caccia ai finanziamenti: il bottino è di 380 tonnellate l’anno, il 90% della produzione mondiale. (Lucia Capuzzi)
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Le fotografie sono state diffuse via Twitter in autunno. Mostrano decine di giovani reclute a volto coperto mentre si allenano «nell’arte della guerra». Le scritte in arabo spiegano che il campo si trova nella zona di Nangarhar, cuore orientale dell’Afghanistan. O, meglio, della provincia satellite di Korasan – che comprende pure parte di Pakistan, Iran e Asia centrale – , creata dal Daesh lo scorso gennaio. Poco importa che quello sia già territorio taleban. Gli uomini del califfo sono decisi a strapparglielo. Secondo l’intelligence di Kabul, il Daesh ha reclutato tra i 1.600 e i 2mila afghani nelle province di Farah, Helmand, Zabul, oltre alla roccaforte Nangarhar. Là, l’esercito di al-Baghdadi controlla numerosi villaggi: a dicembre, ha perfino creato una stazione radio. La reazione dei taleban non si è fatta attendere. Alla fine di ottobre, il gruppo ha costituito un corpo d’élite in funzione anti-Daesh. Mille combattenti scelti, ben equipaggiati e addestrati, con un unico obiettivo: dare la caccia agli uomini del califfo in tutto l’Afghanistan. E rispedirli indietro. Anche a costo, in alcune aree e in sporadiche occasioni, di lottare fianco a fianco con l’odiato esercito di Kabul.  Ad alimentare il conflitto non sono solo differenze – reali o presunte – nell’interpretazione fondamentalista dell’islam. In gioco c’è la chiave della “cassaforte Afghanistan” e il suo tesoro: l’eroina. Un bottino da 380 tonnellate l’anno, il 90 per cento della produzione mondiale, finora saldamente nelle mani dei taleban. Negli ultimi anni, gli affari vanno a gonfie vele. Anche grazie al nuovo boom dell’eroina negli Stati Uniti. Per ridurre i rischi di spedizione oltreoceano, gli estremisti hanno stretto una remunerativa alleanza con i narcos messicani, soprattutto con il sanguinario cartello di Sinaloa. La droga, via Pakistan, attraversa l’Africa per essere esportata negli Usa, dove viene presa in carico dalle mafie messicane che controllano la “piazza”. Poi ci sono sempre il tradizionale mercato europeo e quello asiatico in espansione. Un business allettante per il Daesh, alla perenne ricerca di fondi per finanziare la sua costosa campagna. «Il Califfato incassa in media, tra i 70 e i 90 milioni di dollari al mese – spiega ad Avvenire, Edgardo Buscaglia, esperto di narcotraffico della Columbia –. Circa 50 milioni di questi provengono dal petrolio». Il resto dei proventi derivano dal traffico di opere d’arte e reperti archeologici, estorsioni, riscatti. E dalla droga. «Siria e Iraq sono da sempre “fornitori”.  Chi controlla il territorio, controlla pure il traffico», sottolinea Buscaglia. L’eroina rappresenta ormai una quota crescente di reddito nel portafoglio criminale del Califfato, secondo il rapporto dell’agenzia antidroga russa – Russian Federal Drug Control Service (Fskn) –, diffuso a marzo. La “nuova guerra dell’oppio» apre un altro fronte nel già intricato scenario afghano. I taleban sono decisi più che mai a recuperare spazio, proprio ora che la presenza internazionale si va riducendo, anche se gli Usa stanno ripensando la “strategia di permanenza”. Dalla metà del 2014, la formazione afghana ha “infiammato” l’Helmand – in cui si concentrano i campi di papaveri – con una raffica di attacchi, l’ultimo per la conquista di Sangin. E ha preso di mira il nord, con l’occupazione dei distretti di Takhar e Badakhshan, oltre a Kunduz. Era dal 2001, che i taleban non avevano una presenza tanto capillare sul territorio. Il Daesh, da parte sua, incalza. Con una strategia precisa: sottrarre al nemico i “corridoi della droga”. Quello sud-est che, passando per Zabul, attraversa il Pakistan verso i Paesi del Golfo. E quello occidentale che, da Zabul, porta verso Iran e Turchia, fino all’Europa. L’adesione del Movimento islamico dell’Uzbekistan al Califfato ha dato accesso a quest’ultimo al “trampolino nord”, che collega la provincia del Badakhshan all’Asia centrale e, da lì, alla Russia e, poi, all’Ue. A settembre, il delegato di Mosca all’Onu, Vitaly Churkin, ha denunciato che il Daesh controlla ormai «importanti rotte dell’eroina afghana». Un’affermazione confermata il mese successivo dall’intelligence spagnola, secondo cui il Califfato sta acquistando un ruolo preponderante nel traffico d’oppio. Un quinto dei jihadisti arrestati nella Penisola è coinvolto nello spaccio di eroina. Strette tra i due fuochi, le forze di sicurezza afghane fanno fatica a barcamenarsi, come dimostra il recente incremento di violenza nel Paese: in media sono salire a 500 le vittime al mese, in gran parte civili intrappolati nel fuoco incrociato. Dall’autunno, decine di migliaia di abitanti sono fuggiti dalle zone contese per cercare di salvarsi. Molti si sono rifugiati nei Paesi vicini. Altri sono annegati sui barconi mentre inseguivano il sogno europeo. Nel frattempo, a Kabul, la guerra dell’oppio continua.
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