venerdì 23 ottobre 2015
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«Se non fosse andato al potere nel 1980, se non avesse avuto un ruolo, quanto talento sarebbe stato sprecato»; quindi, per il suo «contributo eccezionale», il nostro Nobel per la Pace 2015 è stato assegnato nientedimeno che a Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe. Gli applausi, di sicuro, hanno fatto da calorosa cornice allo strepitoso annuncio, a questo pensiero originale.  A questo inno alla individuazione di un modello cui identificare anche una comunità umana prospera e armoniosa, nello stile del confucianesimo. Come del resto prevede il premio stesso, appunto, dedicato a Confucio. Il rovescio della medaglia cinese al vero Premio per la Pace che Oslo quest’anno ha assegnato al Dialogo tunisino. Il presidente, che con i suoi 91 anni di età è il leader più longevo del Continente nero, ha abbattuto nove finalisti come una boccia da bowling: Bill Gates, il segretario Onu, Ban Ki-moon, il presidente sudcoreano, Park Geun-Hye.  Proprio grazie a quel «talento» che sarebbe andato sprecato se il «dinosauro » africano non avesse addentato il potere 40 anni fa, come ha dichiarato, nel complimentarsi, il fondatore del Premio Confucio, per difendere la decisione di assegnare il riconoscimento al dittatore, su cui pendono molteplici accuse di violazioni dei diritti umani e mano pesante contro la libertà di stampa e altre sporche operazioni, come quelle ai danni degli agricoltori bianchi, e contro chi ha osato candidarsi contro, ogni qual volta si ripresentava candidato a se stesso.  È nel 2010 che in Cina viene istituito il Premio Confucio ed è la diretta risposta, in aperta polemica, all’assegnazione del Nobel al dissidente cinese Liu Xiaobo. Prima di Mugabe, ci sono stati Vladimir Putin, Fidel Castro e Kofi Annan. Il comitato del Premio Confucio, e quindi il fondatore Qiao Damo, hanno riconosciuto l’impegno di Mugabe per la stabilità economica e politica del suo Paese e il «forte sostegno al panafricanismo».  Peccato che quelli del Premio Confucio si siano dimenticati di dare uno sguardo, anche veloce, alla drammatica situazione in cui versa lo Zimbabwe di Mugabe, inchiodato dalla storia di un «dinosauro» al suo tragico destino di nazione con l’80 per cento di disoccupazione e con il 16 per cento della popolazione che ha bisogno di aiuti alimentari: «L’economia è in uno stato terribile, peggio che nel 2008. La vita della gente è squallida e c’è molto risentimento verso chi governa », è il lapidario commento di Anthony Hawkins, professore di economia all’Università di Harare.
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