giovedì 9 dicembre 2021
La pandemia e la siccità innescano una crisi alimentare: in 38 milioni a rischio fame nella regione occidentale. I primi test di Pfizer dimostrano che la terza dose blocca la variante Omicron
Vaccinazioni anti-Covid in corso a Johannesburg, in Sudafrica

Vaccinazioni anti-Covid in corso a Johannesburg, in Sudafrica - Reuters

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Da un lato i primi dati sui vaccini Pfizer/Biontech, che grazie alla terza dose si dimostrano efficaci contro la variante Omicron. Dall’altro la consapevolezza della scarsa disponibilità degli stessi vaccini in Africa – lì dove la variante stessa è stata per la prima volta individuata – e un’ulteriore conferma dell’impatto della pandemia di Covid-19 sull’insicurezza alimentare nel continente, con altre 38 milioni di persone a rischio fame. La speranza e il dramma, insomma, tornano a farsi tutt’uno, segno che ancora lunga è la via d’uscita dalla pandemia, anche se resta la consapevolezza dell’importanza cruciale delle immunizzazioni. Secondo Pfizer è proprio la terza dose a neutralizzare i rischi della variante Omicron: il cosiddetto «booster», infatti, aumenta i titoli anticorpali di circa 25 volte, fornendo un livello di anticorpi neutralizzanti contro Omicron simile a quello finora osservato dopo due dosi contro le precedenti varianti. Un piccolo studio condotto dall’Africa Health Research Institute mostra invece che Omicron può parzialmente eludere la protezione fornita da due sole dosi di vaccine Pfizer. Il terzo richiamo, insomma, serve.

Secondo il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanon Ghebreyesus, la variante individuata in Sudafrica potrebbe contagiare più facilmente le persone già guarite dal virus o vaccinate rispetto alle varianti precedenti, ma potrebbe anche causare sintomi più lievi. Il 25 novembre, le aziende hanno iniziato a sviluppare un vaccino Covid-19 specifico per Omicron: lo sviluppo continuerà come previsto nel caso in cui sia necessario un adattamento del farmaco per aumentare il livello e la durata della protezione contro Omicron. Per ora, però, la terza dose sembra in grado a sufficienza di proteggere contro la malattia grave.La variante Omicron, individuate due settimane fa in Sudafrica, è stata finora rintracciata in 57 Paesi del mondo. «Anche se la gravità è uguale o potenzialmente anche inferiore a quella della variante Delta – ha spiegato l’Oms –, si prevede che i ricoveri aumenteranno se più persone verranno contagiate e che ci sarà un intervallo di tempo tra l’aumento dell’incidenza dei casi e quello dell’incidenza di morti».

La maggiore contagiosità di Omicron, insomma, desta non poca preoccupazione. In Sudafrica i casi di Covid-19 sono raddoppiati, salendo a oltre 82mila nella sola prima settimana di dicembre. L’incidenza cresce anche nei Paesi vicini, dallo Zimbabwe alla Namibia al Mozambico, anche se, Sudafrica a parte, lo scorso numero di tamponi eseguiti nella regione non consente un’esatta mappatura del contagio. Di certo il bassissimo tasso di immunizzazione del continente nero - circa il 7% la media di vaccinati in tutta l’Africa - offre poche barriere contro il coronavirus, la cui diffusione rischia anche di pregiudicare la ripresa economica.
Ieri un nuovo allarme, in questo senso, è stato lanciato dalla Fao e dal Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite. L’impatto della pandemia, unito alla siccità e all’insicurezza, pone altri 36 milioni di persone a rischio fame nell’ovest del continente nero, con un aumento del 24 per cento rispetto al 2020. Inoltre, altri 2 milioni di persone nella Repubblica Centrafricana hanno urgente bisogno di assistenza umanitaria. L’ennesimo dramma, insomma, che rischia di diventare realtà tra giugno e agosto 2022, un periodo difficile, noto come «magro», prima dei prossimi raccolti. «La situazione è grave. L’insicurezza alimentare si sta diffondendo nella regione», ha sottolineato Ollo Sib, responsabile per la valutazione e il monitoraggio del Pam per l’Africa occidentale e centrale. Una delle principali preoccupazioni è la «cattiva stagione delle piogge», che porta a raccolti scarsi e alla carenza di pascoli e acqua per il bestiame.

È emerso anche dalla missione di esperti delle Nazioni Unite in Camerun, e perfino in Senegal, che «la gente è preoccupata per l’alto costo del cibo, generalmente superiore del 30-40 per cento rispetto al resto del mondo». A Bol, nella regione del Lago Ciad, i pastori vendono bestiame per comprare grano. L’anno scorso, con un capo di bestiame venduto, potevano comprare 7 sacchi di miglio o più. «Ma quest’anno mi hanno detto che stavano ricevendo solo 5 sacchi di miglio», ha spiegato Sib, aggiungendo che le popolazioni sono preoccupate, soprattutto nel Sahel e in Nigeria, «della persistente insicurezza, delle debolezze istituzionali, dell’aumento dei conflitti intercomunitari». «Anche in Africa occidentale – ha proseguito – le popolazioni del nord della Costa d’Avorio, del Benin e del Togo sono preoccupate dall’espansione delle attività dei gruppi armati verso i Paesi costieri. Oltre a questa insicurezza e alle condizioni climatiche, le popolazioni locali devono ancora affrontare gli effetti a lungo termine della pandemia di Covid-19».

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