lunedì 7 gennaio 2013
«I conflitti a livello degli anni Novanta». Preoccupano le elezioni in Kenya e Zimbabwe. Mentre dal punto di vista economico continua la crescita, gli ultimi dodici mesi hanno visto un preoccupante ritorno di guerriglie, autoritarismi e violenze Le tendenze islamiste tracimano ormai verso Sud, contagiando Paesi come Nigeria e Mali, mentre in Congo e Sudan si lotta per le ricchezze della terra. (di Paolo Alfieri)
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​Se c’è un dato su cui gli economisti concordano è la crescita costante di cui ha goduto l’Africa nell’ultimo decennio, una crescita che ha consentito al Continente di reggere meglio del resto del mondo all’impatto della crisi finanziaria globale. Stride però con quest’avanzata economica il quadro che il Continente offre su un altro fronte, quello dei conflitti armati e delle lotte intestine, un fronte che vede l’Africa, in particolare quella sub-sahariana, ostaggio di autoritarismi, ingerenze straniere, traffici internazionali di armi e di droga. Tanto che, secondo diversi analisti, l’anno appena trascorso ha segnato un negativo ritorno ad un passato fatto di violenze, che ricorda da vicino i sanguinosi livelli raggiunti negli anni Novanta.Cosa ci si può aspettare dal 2013? Un segnale decisivo potrebbe venire da due Paesi, Kenya e Zimbabwe, che si apprestano ad andare alle urne il prossimo marzo. Il <+nero>Kenya<+tondo> per anni era stato uno dei Paesi più lodati all’estero per la sua governance e l’assenza di conflitti significativi. Alla fine del 2007, però, le presidenziali furono segnate da accusi di brogli e scontri tribali che provocarono centinaia di morti. Ci vollero diverse settimane prima che Mwai Kibaki e Raila Odinga raggiungessero un accordo per la spartizione del potere, assumendo l’uno la carica di presidente e l’altro quella di premier. In questi anni i rapporti tra i due non sono stati semplici e ora, in vista del nuovo appuntamento elettorale, anche i vescovi locali hanno denunciato il crescente clima di insicurezza e violenza, alimentata dall’eccessiva circolazione di armi. Discorso simile può essere fatto anche per lo Zimbabwe, dove il presidente-dinosauro Robert Mugabe, al potere da oltre tre decenni, è pronto a sfidare il suo oppositore di sempre, Morgan Tsvangirai, premier dal 2009 solo grazie a un accordo gravido di tensione. Dire che i due si odiano è un eufemismo, ipotizzare una contesa estenuante una scommessa abbastanza facile. Parlando di contese, poi, impossibile non citare Sudan e Sud Sudan e la loro infinita disputa su confini e petrolio. Nato appena un anno e mezzo fa dopo due decenni di guerra con Khartum, il Sud Sudan è tornato a imbracciare le armi nei mesi scorsi con lo storico nemico per questioni che riguardano appunto l’appartenenza di alcuni territori strategici gravidi di oro nero. Risale a settembre la firma di un accordo mai realmente implementato, tanto che la produzione petrolifera del Sud (unica sua risorsa) non è ancora ripresa e Juba ha appena denunciato di aver subito nuovi attacchi alla frontiera.Tra le situazioni da tenere d’occhio, poi, quella della Guina Bissau e della Repubblica centrafricana. Nel primo caso si tratta di un Paese ostaggio di frequenti colpi di Stato e ritenuto tra gli Stati più destabilizzati dalla presenza di trafficanti di droga, che ne hanno fatto il crocevia della cocaina sudamericana e dell’oppio afghano. In Centrafrica la situazione resta in bilico dopo l’insurrezione dei giorni scorsi da parte dei ribelli Seleka che ha coinvolto oltre 300mila persone. Per ora si tratta, ma il regno di François Bozizé potrebbe non essere più così saldo.  Tra le situazioni di perenne conflittualità quella dell’est della Repubblica democratica del Congo: l’ultima ribellione, a novembre, aveva portato i miliziani del gruppo M23 a conquistare la città di Goma ed evidenziato l’inconsistenza dell’esercito congolese. I ribelli poi hanno trattato e si sono ritirati. Fino a quando, però, non si sa.L’elemento islamista è invece predominante nelle violenze che sconvolgono il nord dellaNigeria, alle prese con i fondamentalisti di Boko Haram che continuano a causare centinaia di vittime con i loro attentati prediligendo, tra gli obiettivi da colpire, la comunità cristiana. E discorso simile può essere fatto per il gruppo al-Shabaab, legato ad al-Qaeda, in lotta contro il fragile governo della Somalia ormai da sette anni. In Mali, poi, l’insurrezione dei tuareg nel Nord per la conquista dell’Azawad è stata ben presto sbaragliata dal Movimento per l’unicità e il jihad in Africa occidentale, nato da una scissione di al-Qaeda nel Maghreb islamico. Gruppo, quest’ultimo, che peraltro ha lunghi tentacoli che si distendono dalla Mauritania al Niger, dall’Algeria al Burkina Faso. A riprova del fatto che i rischi di instabilità sono ben radicati in tutto il Continente.
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