giovedì 15 luglio 2021
Da mercoledì la bandiera taleban sventola al valico di frontiera di Spin Boldak, al confine con Islamabad. Attacco ad autobus in Pakistan: tra le 14 vittime anche 9 cittadini cinesi
La bandiara dei taleban sventola al confine con il Pakistan

La bandiara dei taleban sventola al confine con il Pakistan - Reuters

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Da mercoledì 14 luglio la bandiera taleban sventola al valico di frontiera di Spin Boldak, al confine con il Pakistan. Obiettivo non solo simbolico ma anche sensibile che si aggiunge alla “collezione” di valichi già strappato dai miliziani alle forze governative nelle province di Herat, Farah e Kunduz. Il valico – che divide la città afghana di Spin Boldak, nella provincia di Kandahar, dalla città pachistana di Chaman e subito chiuso da Islamabad – è il secondo più frequentato fra i due Paesi collegando Kandahar ai porti pachistani, con un passaggio di 900 camion al giorno.

Il suo controllo assicurerà ai taleban nuove entrate per la guerra. Ma non solo: autorizza i taleban a “dilagare” nei Paesi confinanti. Con l’uscita di scena delle truppe Usa e la fragilità sempre più evidente del governo di Kabul, l’Afghanistan torna ad essere l’epicentro di famelici appetiti e pericoloso fattore di destabilizzazione. Ne sa qualcosa la Cina. Ieri 9 cittadini cinesi sono morti nell’esplosione in un autobus nel distretto di Upper Kohistan, provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa: 14 le vittime totali.
Un messaggio inviato dai taleban pachistani all’indirizzo del potente alleato di Islamabad i cui investimenti hanno raggiunto quota 1,58 miliardi di dollari nel 2017-2018. Ad aprile, i taleban avevano rivendicato la responsabilità di una esplosione suicida in un hotel di lusso che ospitava l’ambasciatore cinese, rimasto illeso. La partita è complessa e gli attori in gioco tanti. Mentre l’ex presidente americano George W. Bush critica il ritiro occidentale e gli Usa annunciano un ponte aereo per mettere in salvo gli interpreti e gli afghani che hanno collaborato con gli “occupanti”, Pechino ha esortato Islamabad a «punire severamente» i colpevoli e a «proteggere con forza» cittadini e interessi cinesi. Al tempo stesso, il colosso asiatico ha “pressato” i taleban afghani affinché si «rendano conto delle responsabilità che hanno per la nazione». L’aspettativa della Cina per il futuro dell’Afghanistan è «un accordo politico ampio e inclusivo che persegua una politica musulmana moderata, combatta risolutamente contro tutte le ideologie terroristiche ed estremiste e si impegni a mantenere una relazione amichevole con tutti i Paesi vicini», ha detto il ministro degli Esteri, Wang Yi.

I rapporti tra i due “attori” sono ambivalenti. Un portavoce dei taleban ha fatto sapere al South China Morning Post che la Cina è un «amico benvenuto» e che il dialogo sulla ricostruzione dovrebbe iniziare «il prima possibile». A maggio, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian ha assicurato che Pechino stava discutendo con Islamabad e Kabul per estendere il corridoio economico Cina-Pakistan all’Afghanistan. D’altro canto Pechino ha una partita aperta con lo Xinjiang e teme infiltrazioni attraverso il corridoio del Wakhan, al confine con l’Afghanistan. Tutta l’Asia centrale rischia il contagio estremista. La partita, dentro e fuori i confini dell’Afghanistan, è tutta da giocare.

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