venerdì 13 agosto 2021
Pashtana Zalmai Khan Durrani, 23 anni, direttrice della Ong “Learn”, un’eccellenza nella promozione dell’istruzione, in particolare delle ragazze, racconta la presa di Kandahar
Un'immagine di Kandahar, in Afghanistan, poco prima dell'ingresso dei taleban

Un'immagine di Kandahar, in Afghanistan, poco prima dell'ingresso dei taleban - Ansa

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È sigillata in casa, perché «nessuno osa uscire» e da lì ha assistito alla caduta della sua città, Kandahar, sentendo sempre più vicino il fragore dei combattimenti e guardando le immagini e i video di quanto accadeva postati online. «I taleban si sono impadroniti pressoché di tutto qui», ci ha detto ieri al telefono Pashtana Zalmai Khan Durrani, 23 anni, direttrice della Ong “Learn”, un’eccellenza nella promozione dell’istruzione, in particolare delle bambine.

«Gli scontri sono cominciati di notte, molto più pesanti dei giorni precedenti», racconta. «L’esercito e le forze di sicurezza non hanno opposto alcuna resistenza. Non hanno fornito alcuna protezione alla popolazione, che è stata presa nel mezzo del fuoco incrociato. Solo la polizia ha affrontato i taleban», dice d’un fiato, con la voce ferma.

Dalla sua finestra vede gli sfollati giunti dalle altre province conquistate nei giorni scorsi. «Erano venuti qui per trovare rifugio. Sono accampati per le strade, seduti per terra, sotto gli alberi». La sua Ong ha organizzato una raccolta di fondi per acquistare cibo e generi di prima necessità. Oggi il team di “Learn” avrebbe dovuto avviare anche una distribuzione di tende.

«Abbiamo consegnato quanti più generi alimentari possibile: farina, fagioli, zucchero, quello che siamo riusciti a trovare a prezzi accessibili. E anche acqua, perché fa estremamente caldo. Altre Ong hanno fatto lo stesso, visto che in città già prima si andava profilando una crisi umanitaria e il governo non riusciva ad assistere tutti gli sfollati. E, per essere onesta, il governo era troppo corrotto per farlo».

Non è forse ancora in grado di realizzare quanto è accaduto ieri, né di immaginare quali conseguenze il repentino arrivo dei taleban porterà in città. Ci parla di piani per proseguire il programma di supporto umanitario agli sfollati. «Non so come faremo e certo non potrò scendere io giù in strada per farlo direttamente, essendo una donna. Procederemo con lo staff maschile della mia Ong. Vedremo nelle prossime ore cosa succederà, ma di tende c’è grande bisogno. Non abbiamo altra scelta, quella gente cos’altro può fare?».

Le chiediamo dei suoi studenti e soprattutto delle studentesse dei programmi di “Learn”, in totale circa 7.000. La voce dell’attivista si fa meno ferma, la risposta è la più amara di tutte: «Quel lavoro è andato perduto, distrutto, azzerato. Metà degli studenti sarà fuggito, e comunque come potrebbero studiare le ragazze, se vengono prese e date in sposa ai combattenti taleban? Il fatto è che non so nemmeno quante di loro siano rimaste vive».

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