sabato 5 ottobre 2013
​​Con la morte, a 102 anni, di Vo Nguyen Giap scompare l’ultimo dei leader che hanno guidato il Vietnam dalla colonizzazione all’indipendenza e all’unificazione in un trentennio di conflitto che ha segnato non solo la storia del Sud-Est asiatico ma anche la memoria collettiva dell’Occidente.
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Con la morte, a 102 anni, di Vo Nguyen Giap scompare l’ultimo dei leader che hanno guidato il Vietnam dalla colonizzazione all’indipendenza e all’unificazione in un trentennio di conflitto che ha segnato non solo la storia del Sud-Est asiatico ma anche la memoria collettiva dell’Occidente. Di povere origini, studente incostante e mediocre insegnante, anche giornalista negli anni precedenti l’incontro con l’ideologia comunista e con Ho Chi Minh, per i vietnamiti Giap resta soprattutto «il generale», l’eroe della guerra di liberazione, lo stratega che vinse la battaglia di Dien Bien Phu contro i francesi e organizzò l’offensiva del Tet contro gli americani, non solo successi sul piano militare (anche se pagati con un altissimo prezzo di vite umane, militari e civili) ma momenti di umiliazione dell’avversario occidentale che aveva provato a ostacolare un cammino insieme indipendentista e rivoluzionario. Una vicenda, la sua, interessante anche per lo straordinario dualismo di potere condiviso dall’inizio con Ho Chi Minh, suo compagno di elaborazione ideologica nel rifugio cinese e co-fondatore della Lega per l’Indipendenza del Vietnam (Viet Minh) nel 1941. Dopo il tempo della guerriglia contro i giapponesi, alla loro uscita di scena nel 1945, Ho, a capo del governo, chiamò Giap al suo fianco come ministro dell’Interno. Un dicastero breve, durato fino al ritorno dei francesi e l’inizio della guerra contro le truppe coloniali, che gli portò il comando assoluto dell’esercito vietnamita. Il sodalizio tra i due leader, il raffinato intellettuale e il pragmatico guerriero doveva consolidarsi negli anni del conflitto contro francesi, sudvietnamiti e americani, ma non sopravvivere al conflitto. «Zio Ho» lasciò orfano un Vietnam attonito nel 1969, mentre Giap continuò a guidare, come capo delle forze armate e ministro della Difesa esercito e guerriglieri Vietcong fino all’occupazione di Saigon il 30 aprile 1975. Due personalità diverse. Il primo fondò lo Stato vietnamita, il secondo lo difese e lo consolidò. Orgoglioso di avere frequentato soltanto «l’accademia della giungla», il “Napoleone rosso” raffinò le tecniche della guerriglia togliendole dal mito dei secoli di lotta contro l’impero cinese e i poteri coloniali per proiettarle contro l’avversario Usa dotato del più potente esercito al mondo, costringendolo alla trattativa. Proprio lui, avversario che non si poteva costringere allo scontro in campo aperto. Questa era stata la sua arma vincente contro i francesi logorati in 56 giorni di battaglia nella conca di Dien Bien Phu fino alla sconfitta il 7 maggio 1954. Questa fu anche la carta vincente dal 1963 e ancora più con l’offensiva del Capodanno buddista, il Tet, il 30 gennaio 1968, che portò gli uomini di Giap sostenuti dai guerriglieri sudvietnamiti in profondità dietro le linee sudvietnamite e fino davanti ai cancelli dell’ambasciata Usa di Saigon. Una choccante dimostrazione di forza e di tattica che ottenne il duplice obiettivo: quello militare di indebolire le forze armate del Sud, mostrandone anche la vulnerabilità; quello di convincere il nemico occidentale che la vittoria era non solo lontana ma forse impossibile. Il disimpegno graduale dal conflitto di Washington doveva dargli ragione e la conquista di Saigon il 20 aprile 1975 doveva siglare un ruolo di vincitore, ma non relegare Giap nel mito. Il governo del Paese unificato doveva infatti chiamarlo – fedele interprete delle direttive del regime – ancora una volta a ricoprire una duplice carica: quella di ministro della Difesa, fino al 1980, e quella di vice primo ministro fino al 1982, anno in cui si ritirò dalla politica.​
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