giovedì 23 gennaio 2014
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La speranza è che l’accordo regga, dopo  migliaia di vittime, mezzo milione di profughi e il più giovane Stato africano spaccatop a metà: da un lato i fedelissimi del presidente Salva Kiir e dall’altro i seguaci dell’ex vicepresidente Riek Machar. Più di un mese di combattimenti che l’accordo siglato dopo giorni di trattative ad Addis Abeba potrebbe fermare. Il condizionale è d’obbligo, naturalmente, perché dopo le armi a parlare dovrà essere invece la politica. E la ricomposizione sembra ancora problematica, tra il leader che ha accusato il rivale di aver tentato un golpe e l’ex suo vice che lo accusa di intrallazzi politici. Un segnale però forte esce da una crisi che, sommata a quella dell’Est del Congo e del vicino Centrafrica aveva portato gli analisti a definire la regione centrale africana il “triangolo della morte”. Il segnale è la ricomposizione regionale del conflitto. Attraverso le pressioni e la mediazione dell’Igad, l’organismo di cooperazione regionale che si è sostituito ai tradizionali “facilitatori” di Nazioni Unite ed Unione Africana. La “prossimità” ha vinto sull’insieme di equilibri labili che spesso paralizzano le grandi organizzazioni. Non va però sottaciuto il ruolo svolto dagli americani, grandi promotori dell’indipendenza sud sudanese di due anni fa. I segnali arrivati da Washington sono stati più che chiari: addurre connotazioni etniche o di potere ad uno scontro che era e resta prettamente politico era fuorviante. Tradotto in soldoni significava lo stop al sostegno, anche economico, del fragile Paese. Esisteva ed esiste, infatti, un pericolo legato alla geopolitica dell’energia: il Sud Sudan è ricco di giacimenti petroliferi, che fanno gola a parecchie potenze: prima fra tutte quella cinese assetata di fonti primarie di energia. Il Nord islamista è rimasto infatti a “secco” dopo l’indipendenza e l’interesse cinese e occidentale si è spostato irrimediabilmente a sud. Da qui gli interessi sempre crescenti sulla regione e direttamente proporzionale l’instabilità, soprattutto nelle aree petrolifere che non sono state ancora assegnate dagli accordi che hanno portato al frazionamento del gigante africano. Ora le pressioni, le garanzie e soprattutto gli attori regionali dovranno sovrintendere al cessate il fuoco. Con la speranza che regga e non ripiombi nel terrore un popolo già provato da anni di massacri perpetrati dalle milizie del nord.
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