mercoledì 15 luglio 2020
L’Europa soffre in termini di vite umane e crisi economica, ma sembra uscita dalla fase acuta. Non vale lo stesso per gli Usa India e per i Paesi latinoamericani
L'America non sa come venirne fuori

Ansa

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«Non ci sarà un ritorno alla normalità nel prossimo futuro». Le parole, ripetute ieri dal direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, sanciscono quanto il mondo ha sperimentato in questa prima parte di 2020. A sei mesi dalla denuncia del primo caso all’Oms da parte delle autorità cinese e a più di quattro dalla dichiarazione della pandemia, l’11 marzo, i differenti Paesi hanno dovuto arrendersi a una drammatica consapevolezza: il Covid farà parte del panorama attuale ancora a lungo. Anche se – ha sottolineato Tadros – una sorta di “protocollo di massima” consentirà di convivere con il virus. E le sue ondate. In un equilibrio, certo, sempre precario. Il coronavirus è un Giano bifronte che obbliga la politica a un delicatissimo sforzo di conciliazione tra due esigenze opposte.

Da una par- te, c’è la necessità di salvare vite umane, minacciate dal potere letale della malattia, attraverso misure di quarantena e distanziamento fisico. Alla dimensione sanitaria dell’emergenza, però, si somma quella economica: la pandemia – o, meglio, il lockdown per cercare di arginarla – ha scosso le fondamenta del sistema globale. Di fronte alla recessione, i governi hanno adottato due linee d’azione. Per semplificare, l’Europa occidentale – con maggior o minor reticenza – s’è fatta capofila del fronte rigorista. Dal-l’Italia – la prima nazione sferzata al termine della “fase asiatica” – alla Spagna, dalla Francia alla Gran Bretagna dell’ex negazionista Boris Johnson, i vari Stati hanno applicato una strategia basata sullo stop delle attività non essenziali e del confinamento dei cittadini. Ciò non ha risparmiato al Continente un bilancio di oltre 203mila sul totale mondiale di quasi 574mila. E più di 2,8 milioni di casi sugli oltre 13 milioni complessivi.

Numeri tragici. Eppure gli scienziati concordano che senza lockdown sarebbero stati molto peggiori. Oltretutto il Vecchio Continente sembra essere uscito dal tunnel della prima ondata. Il rischio resta quello di una nuova sferzata, soprattutto in Gran Bretagna e nelle nazioni finora “risparmiate” dalla pandemia come Serbia, Macedonia del Nord, Bosnia Erzegovina e Romania, dove c’è stata un’impennata di casi. Un recente rapporto dell’Accademia di scienze mediche di Londra ha ipotizzato un nuovo picco che potrebbe portare le vittime britanniche a quota 120mila entro la fine dell’inverno 2021. Tanto che ieri il governo Tory ha capitolato sulla libertà di mascherina, rendendola obbligatoria in tutti i negozi fino al 24 luglio.

Al costo umano si somma quello economico: nel trimestre marzomaggio, il Pil del Regno Unito è crollato di un drammatico 19,1 per cento. Proprio l’imperativo di scongiurare il crac, è stato il leitmotiv del fronte “aperturista”, impersonato – sempre con una buona dose di semplificazione – dai presidenti Usa e brasiliano, Donald Trump e Jair Bolsonaro. Entrambi minimizzatori sugli effetti del Covid – il secondo decisamente negaziosta – si sono opposti al fermo delle attività produttive e alla quarantena. Con il risultato che i loro Paesi sono rispettivamente il primo e il secondo per contagi e vittime: più di 3,3 milioni e 135mila negli Stati Uniti e oltre 1,8 e 72mila in Brasile. Se, inoltre, in Europa i malati rappresentano circa il 0,4 per cento della popolazione, negli States sono quasi uno su cento. L’America poi non riesce ad uscire dal labirinto della “fase uno”. Emblematico l’esempio della Florida, nuovo epicentro della pandemia con 132 morti nelle ultime 24 ore e un totale di oltre 282mila contagiati. Con Miami tristemente etichettata come la «nuova Wuhan».

E molti Stati impegnati a far marcia indietro sulle riaperture, con buona pace della linea-Trump. Ma è a Sud del Rio Bravo – non solo in Brasile – che il Covid galoppa. La regione, con oltre 146mila morti, ha superato la somma delle vittime di Usa e Canada, circa 144mila: solo l’Europa la batte in termini di decessi ma non più di contagiati. Con più di 3,3 milioni di casi a testa, le due Americhe si contendono il primato.

La presidente della Pan american health organization (Paho), Clarisse Etienne, s’è detta «preoccupata » per l’alta mortalità del virus nel Continente. Considerato nel suo insieme, quest’ultimo concentra quasi la metà dei casi e supera di quasi 50mila decessi, i morti europei. Alle roccheforti della crisi sanitaria, si aggiunge l’India dove, con 28mila solo ieri, il totale dei malati si avvicina al milione. La corsa del virus è ripresa dopo la riapertura decretata dal premier, Narendra Modi, per non danneggiare l’economia. La produzione ha avuto danni contenuti ma la diffusione è dilagata, costringendo le amministrazioni locali a decidere blocchi parziali. Perfino l’Australia è tornata nell’occhio del ciclone dopo un periodo di tregua, con centinaia di infettati.

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