venerdì 2 settembre 2011
Vertice sulla ricostruzione della LIbia. Sarkozy: raid Nato finché Gheddafi sarà una minaccia. Accordo per lo scongelamento dei fondi all'estero: agli insorti 15 miliardi di dollari.
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EDITORIALE Interessi incrociati di Fulvio Scaglione
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- Intervista a Stefano Silvestri, presidente Istituto Affari Internazionali (audio da Radio inBlu)
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La guerra civile in Libia non è ancora fi­nita, ma la comunità internazionale ha accettato ieri lo stesso, quasi al com­pleto, l’invito lanciato dalla Francia e dalla Gran Bretagna per un primo tavolo multila­terale sulla transizione politica ed economi­ca guidata dagli insorti libici. Così come sul­lo scongelamento dei fondi detenuti in nu­merosi Paesi dal regime di Gheddafi, oltre al­l’arrivo degli aiuti di emergenza a una popo­lazione provata da 6 mesi di scontri. L’Eliseo ha fatto ancora una volta da cornice all’appuntamento, come già lo scorso mar­zo al momento del lancio dell’offensiva in­ternazionale in difesa dei civili autorizzata dall’Onu. Deciso più che mai a non perdere il proprio ruolo di mattatore su questo fron­te diplomatico, il presidente Nicolas Sarkozy ha annun­ciato i principali «progressi» ottenuti nel corso della con­ferenza, parlando al fianco del premier britannico Da­vid Cameron. «All’unani­mità », ha sottolineato il capo dell’Eliseo, si è raggiunto un accordo per lo scongela­mento dei fondi all’estero. Quelli già disponibili am­montano a circa 15 miliardi di dollari. «Il denaro dirotta­to deve tornare al popolo libico», ha martel­lato Sarkozy, confermando poi che la Nato continuerà i propri bombardamenti «finche il rais sarà una minaccia» e lanciando un mo­nito implicito anche agli altri regimi (Iran e Siria) attualmente additati dalla comunità in­ternazionale: l’intervento in Libia deve rap­presentare «l’inizio di una politica che met­te la forza militare al servizio della protezio­ne di popolazioni che rischiano di essere mar­tirizzate dai propri dirigenti». E saranno i «li­bici a decidere» dove processare il dittatore, sorvolando a modo suo sul mandato di cat­tura dell’Aja. Al Consiglio nazionale di transizione (Cnt), poi, gli «amici della Libia» chiedono d’inne­scare «un processo di riconciliazione e di per­dono », in modo da evitare gli errori commessi in altri contesti post-bellici. In cambio, le de­legazioni giunte a Parigi s’impegneranno per «allargare il riconoscimento delle nuove au­torità ed aprire nuove ambasciate a Tripoli». Esprimendosi con toni meno perentori, Ca­meron ha invece sottolineato che «la batta­glia non è ancora finita», pur esprimendo ot­timismo per l’evoluzione in corso: «Senza Gheddafi, non ci sarà il caos, anche se non è tutto roseo». È stato il premier britannico a sottolineare «il ruolo cruciale pure degli Sta- ti Uniti», rappresentati alla conferenza da Hillary Clinton. Anche per il segretario di Stato americano, che ha avuto un faccia a faccia privato con Sarkozy e confermato in giornata la consegna ai ribelli di 700 milio­ni di dollari di beni scongelati (su un totale di 1,5 miliardi), le operazioni militari po­tranno arrestarsi solo con la fine delle mi­nacce sul popolo libico. Giunto anch’egli a Parigi, Silvio Berlusconi ha partecipato a un pre-incontro ristretto as­sieme ai rappresentanti di Francia, Gran Bre­tagna, Stati Uniti, Canada, Qatar, Emirati A­rabi, Giordania e Turchia. Il premier ha sot­tolineato ieri che occorrerà proseguire «l’at­tività di supporto a difesa della popolazione civile finché il territorio non sarà liberato». Fra gli altri invitati di spicco, anche il segre­tario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki­moon, che ha invece an­nunciato di voler «dare mandato a una missione O­nu che dovrà cominciare le sue operazioni nel più bre­ve tempo possibile». La conferenza ha rappre­sentato una nuova decisiva tappa dell’ufficializzazione internazionale del Cnt, rap­presentato a Parigi dai due leader Mustafa Abdel Jalil e Mahmud Jibril. Dietro le quinte, si è discusso pure della ricostruzione e delle risorse energeti­che libiche. In tutto, il plotone di «amici della Libia» era rappresentato ieri dalle delegazioni di 63 Paesi. Accanto ai vertici della Lega araba, c’era pure il capo della diplomazia dell’Al­geria, Paese accusato dalla Francia di man­tenere un atteggiamento 'ambiguo' verso la transizione, anche in ragione dell’ospita­lità offerta ai familiari di Gheddafi. Ieri, il ministro ha fatto sapere che Algeri atten­de la formazione di un nuovo governo li­bico prima di un riconoscimento ufficiale. Fra i grandi Paesi invitati, ha declinato l’in­vito solo il Sudafrica, sempre critico verso il presunto «strappo» della coalizione mi­litare rispetto ai termini del mandato Onu, come ribadi­to anche ieri dal presidente Jacob Zuma durante una vi­sita in Norvegia. Gli organizzatori della con­ferenza parigina, inoltre, non hanno di certo trascurato i simboli: la data scelta per l’incontro è la stessa dell’ir­ruzione al potere a Tripoli, nell’ormai lontano 1969, di un tale Muammar Gheddafi.
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