sabato 9 luglio 2016
​Nel suo messaggio il Papa esorta gli anziani a sognare e i giovani a profetizzare. Kovadloff: il nostro Paese sembra intrappolato nel XIX secolo.  INTERVISTA Monsignor Jorge Lozano: «Un patto comune contro la povertà» (L.Capuzzi)
L'Argentina ha 2 secoli. Lettera del Papa
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"Agli anziani, 'custodi' della storia, chiedo che, opponendosi a una cultura dello scarto dilagante al livello mondiale, abbiano il coraggio di sognare. E ai giovani domando di non trascorrere la vita in pensione, in quel quietismo burocratico in cui li vogliono mantenere proposte carenti di visione ed eroismo. Sono convinto che la nostra Patria abbia necessità di rendere viva la profezia di Gioele. Solo se gli anziani avranno il coraggio di sognare e i giovani di profetizzare grandi cose, la Patria potrà essere libera”. Con queste parole, papa Francesco, alla vigilia delle celebrazioni per il Bicentenario del 9 luglio, ha esortato gli argentini a costruire il proprio presente e futuro, attraverso un messaggio inviato alla Conferenza episcopale locale.I 200 anni dell’indipendenza dalla Spagna sono per Buenos Aires una data fortemente simbolica. La nascita del nuovo Stato libero – le Province Unite del Rio de la Plata -, il 9 luglio 1816, fu il culmine di un doloroso processo di gestazione. Cominciato il 25 maggio 1810, quando – con la “Rivoluzione di maggio” - la futura Argentina diede il primo strattone che, nel giro di sei anni, l’avrebbe portata a staccarsi da Madrid. Questo spiega la peculiarità platense del doppio anniversario – e doppio Bicentenario a sei anni di distanza – indipendentista: il 25 maggio e il 9 luglio.“Due secoli dopo dovremmo farci una domanda: che cosa manca all’Argentina per essere indipendente? Nel 1816, ci siamo emancipati da una potenza straniera. Il Paese, però, sembra ancora intrappolato nel XIX secolo”, spiega ad Avvenire Santiago Kovadloff, noto intellettuale argentino e prestigiosa firma de La Nación. I “debiti insoluti” dell’indipendenza si ripercuotono con forza nell’Argentina del XXI secolo. “O meglio, le impediscono di entrare appieno in tale epoca”, aggiunge Kovadloff. Le questioni aperte sono molte. Una più di tutte, però, pesa sul presente della nazione: l’incapacità di far prevalere il bene comune sugli interessi di parte. “Siamo un Paese originale: ci siamo emancipati dalla Spagna e, simultaneamente, dichiarati guerra l’un l’altro. In nessun altro Stato dell’America Latina il conflitto civile è stato, in pratica, contemporaneo all’indipendenza”, sottolinea l’esperto. Secondo quest’ultimo la “frammentazione” ad oltranza rappresenta il peccato originale della Repubblica: i diversi gruppi, settori, difficilmente riescono ad anteporre le esigenze nazionali alle proprie. “E questo rende le istituzioni repubblicane deboli. I governanti, invece di essere sottomessi alle legge, cercano di manipolare queste ultime per i loro obiettivi”.L’antidoto a tale “malattia cronica” argentina era stato segnalato dall’allora arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, nel 2005. In tale occasione, il futuro Francesco, riflettendo sul prossimo Bicentenario, al particolarismo egoista, contrapponeva lo sforzo creativo per elaborare insieme un progetto comune. Il cui esito sia quella famiglia dagli orizzonti ampi e i legami fraterni di cui il Papa ha parlato di nuovo ora, nel messaggio ai vescovi argentini, affinché i cittadini non debbano più vendere se stessi e la “Madre Patria” al miglior offerente.
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