sabato 23 gennaio 2021
Una riflessione sulla pandemia in Cina, ma anche sul confronto tra il Dragone e l'Occidente, tra la dittatura lungimirante e il capitalismo di Stato e la democrazia con i valori in bilico
Il regista cinese dissidente Ai Weiwei

Il regista cinese dissidente Ai Weiwei - Ansa

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«No, non sono un eroe, e nemmeno un uomo particolarmente coraggioso. Sincero e curioso, magari, questo sì. E con una irriducibile avversione per l’ingiustizia. Forse è per questo che mi metto sempre nei guai». Ai Weiwei, 63 anni, ci parla dal suo nuovo “buen retiro”, a Lisbona. Dopo aver lasciato Berlino, non senza polemiche sul «carattere dei tedeschi» e l’Inghilterra, ora vive in Portogallo, terra «dolce e tranquilla».

È triste, Ai Weiwei, meno battagliero del solito. Sembra più un vecchio saggio, che l’artista iconoclasta che per anni si è divertito a farsi beffe del regime comunista. Ma non solo. A suo tempo lo incontrammo quando girava per i Balcani, per denunciare la tragedia dei migranti e la colpevole indifferenza dell’Europa.

Da questa sua esperienza venne fuori una bellissima mostra a Palazzo Strozzi e un documentario accolto trionfalmente a Venezia, “The Human Flow”. Oggi, a un anno esatto dall’inizio del lockdown a Wuhan del 23 gennaio 2020 che svelò al mondo il dramma del Covid, più che con la Cina ce l’ha con l’Occidente. Il suo film sulla metropoli, “Coronation”, uscito l’anno scorso a tempo di record, non solo è stato bandito in Cina ma respinto, spesso ignorato, anche dai grandi Festival internazionali del cinema.

Perché?
Perché la Cina oramai domina anche il mercato cinematografico. Hanno cominciato da Hollywood, dove è oramai impossibile produrre un film senza una sorta di nulla osta del Dragone, e si sono pian piano allargati ovunque, anche all’interno di festival internazionali di grande tradizione e prestigio. Bisogna farsene una ragione... trovare altre strade. Certo non ho nessuna intenzione di arrendermi, né di restare in silenzio.

Sottomettersi o sparire, l’alternativa sembrerebbe questa, dunque. E allora perché non fa come Michael Moore, che mette a disposizione le sue opere gratuitamente, in rete?
Certo, prima o poi lo farò. Ma per ora chiedo un contributo minimo, 3 o 4 euro. Per rientrare dalle spese, certo. Ma soprattutto per rispetto quanto meno simbolico, di chi ha lavorato, e rischiato, per realizzare questo film. Proprio come per “Coakroaches”, il documentario sulle proteste di Hong Kong. Il lavoro va retribuito, sempre, a maggior ragione quando si corrono rischi enormi.

Eppure questo film, tranne forse l’ultima parte, non è “anticinese”, anzi. Buona parte delle immagini mostrano persone che nonostante la situazione difficile, le enormi sofferenze, umiliazioni, paure reagiscono in maniera molto umana... Una Cina che ha paura, esattamente come noi, più che far paura.
Ma infatti questa etichetta che mi hanno affibbiato, di essere anticinese, anticomunista non mi piace per niente. Non sono né l’uno, nell’altro. Intanto sono cinese, quindi non posso essere anticinese. Quanto all’anticomunismo… che c’entra la Cina? È da tempo che non è un Paese comunista, è un Paese dominato da un capitalismo di Stato che sa essere ingiusto, violento e crudele. Non ha nulla a che vedere con il comunismo. Per questo la Cina è sempre più forte: i regimi comunisti sono tutti falliti, non avevano una strategia, una visione, e tantomeno consenso popolare.

Beh un Ai Weiwei “patriottico” è decisamente una novità. Soprattutto ripensando a come l’ha definita tempo fa l’ex “storico” e battagliero ambasciatore cinese a Londra, Liu Xiaoming: «Un artista minore, che ha accumulato una fortuna insultando non solo il governo cinese, ma l’intero popolo, la sua storia, la sua cultura, le sue tradizioni».
Sul fatto che sia un artista minore non c’è dubbio. Ma che passi la mia vita ad insultare il popolo cinese non è vero. Ad insultare il popolo sono loro, i funzionari di partito, educati all’obbedienza cieca e dediti alla menzogna. La persona che hai nominato è un classico esempio. Spero che il suo successore sia una persona migliore.

Qualcuno però dice che la pandemia, i lockdown abbiano rafforzato l’unità del popolo cinese, e il supporto per il regime…
La Cina è stata sempre un paese autoritario, dove i diritti umani, le libertà civili, la libertà di stampa e l’indipendenza del sistema giudiziario non hanno mai trovato cittadinanza. In un regime è più facile realizzare le cose, anche quelle più difficili. Come un lockdown. La Cina ha sicuramente sbagliato a non dire subito la verità, a nascondere le informazioni, ma poi ha affrontato e risolto con estrema efficacia l’emergenza. Purtroppo la scelta fu brutale ma efficace».

Ai Weiwei, abbiamo un nuovo presidente americano, riuscirà a rilanciare l’immagine degli Stati Uniti e a fermare la lunga marcia della Cina? O il “sorpasso” è dietro l’angolo?
Non so quando sarà il sorpasso, ma ci sarà. La Cina 30 o 40 anni fa era come la Corea del Nord oggi. E guardate dove è arrivata. Come ho detto prima: i dirigenti cinesi hanno una strategia, una visione, e gli strumenti per realizzarla. Il problema non è la Cina e le sue legittime aspirazioni di crescita. Il problema è l’Occidente, i suoi valori, i suoi principi, i suoi sistemi di governo. Sarà capace di reagire, di trovare unità e determinazione nell’affrontare la crescita cinese? Con l’elezione di Biden mi sembra che siamo tornati ai tempi di Obama. Ma poi è arrivato Trump.

Dolore a Wuhan per i morti da Covid-19

Dolore a Wuhan per i morti da Covid-19 - Ansa/Epa

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