mercoledì 13 febbraio 2019
Papa Francesco risponde privatamente alla lettera del "signor" Maduro e ricorda le condizioni non ottemperate alla richiesta di «dialogo» del 2016
Maduro a un discorso per i suoi sostenitori (Ansa)

Maduro a un discorso per i suoi sostenitori (Ansa)

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Da quando, il 23 gennaio, il capo dell’Assemblea nazionale, Juan Guaidó, ha iniziato la sua sfida frontale, Nicolás Maduro non ha fatto che invocare il «dialogo» per risolvere la crisi. Nell’affanno di cercare sponde, il leader di Miraflores si è anche rivolto a papa Francesco, a cui ha scritto una lettera. La risposta del Pontefice – afferma il Corriere della sera – è arrivata, in forma privata, il 7 febbraio. In una missiva di due pagine e mezzo indirizzata al «signor Maduro», Bergoglio ricorda l’intento di mediazione accompagnato dalla Santa Sede nel 2016, naufragato «perché quanto era stato concordato nelle riunioni non è stato seguito da gesti concreti per realizzare gli accordi».

In particolare, il Papa ha citato le condizioni esposte alle parti dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, alle parti, il primo dicembre: liberazione dei prigionieri politici, apertura di un canale umanitario, elezioni e riconoscimento del Parlamento. Questi erano «i presupposti perché il dialogo fosse possibile», ha scritto – secondo il quotidiano – Francesco. Il «signor Maduro» – espressione eloquentemente diversa da signor presidente – era stato sordo alle richieste allora e continua ad esserlo. La Sala stampa della Santa Sede non ha voluto commentare la lettera, «di carattere privato». Il cardinale Baltazar Porras, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Caracas, però, ha definito la missiva «credibile».

Il crescente isolamento di Maduro e la forza della piazza – convocata per la terza volta martedì, però, non riesce a far uscire il Venezuela dal «suo labirinto», per parafrasare il titolo di un celebre romanzo di Gabriel García Márquez, dedicato – non a caso – all’eroe nazionale di Caracas, Simón Bolívar.

Per tale ragione, Guaidó ha impresso una nuova accelerazione alla crisi, promettendo l’entrata degli aiuti umanitari dalla frontiera colombiana il 23 febbraio prossimo. Nel frattempo, altri due centri di raccolta dei soccorsi sono stati allestiti nel brasiliano Roraima e nell’isola di Curacao.

Il governo di Miraflores, tuttavia, ribadisce di non volere gli aiuti e ha schierato i militari a presidiare il confine. La mossa di Guaidó cerca di mettere l’esercito con le spalle al muro, costringendolo a scegliere tra sparare sui convogli o abbandonare Maduro. Molto dipenderà anche da che posizione assumerà la comunità internazionale, in particolare gli alleati della Rivoluzione bolivariana. Fra questi ultimi, si notano i primi tentennamenti. Un recente articolo del Wall street journal ha rivelato «contatti diretti» tra la Cina e l’opposizione al fine di proteggere gli interessi di Pechino a Caracas, almeno 20 miliardi di dollari.

Affermazione ovviamente smentita dal ministero degli Esteri del Dragone. Già il primo febbraio, però, il portavoce del Dicastero, Geng Shuang, aveva ammesso «comunicazioni con tutte le parti». Anche Mosca è apparsa più possibilista, dopo la telefonata tra il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, e il collega Sergeij Lavrov. Mentre Guaidó ha espresso apprezzamento per la risoluzione in cui il Parlamento italiano chiede «nuove elezioni». La delegazione dell’opposizione in Italia, intanto, ha incontrato Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl, il quale gli ha assicurato il pieno sostegno del sindacato.

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