martedì 30 aprile 2019
Liberato dai militari l'attivista anti Maduro agli arresti domiciliari. La gente per strada con i militari che hanno abbandonato il presidente
L'attivista Leopoldo Lopez dopo la liberazione (Ansa)

L'attivista Leopoldo Lopez dopo la liberazione (Ansa)

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«Il momento è ora». Il proclama Twitter di Juan Guaidó ha svegliato di soprassalto Caracas all’alba. Il colpo di scena è stato la repentina liberazione di Leopoldo López, il volto più celebre dell’anti-chavismo prima dell’irruzione sulla ribalta politica di Guaidó, il 23 gennaio. Entrambi appartengono a Voluntad popular, protagonista delle proteste di piazza del febbraio 2014 che costarono a López – leader della rivolta – una condanna a quasi 14 anni per istigazione alla violenza. Il carcere e, dal 2017, gli arresti domiciliari non ne hanno, però, intaccato la leadership politica, anche grazie alla campagna mediatica portata avanti dalla moglie-pasionaria Lilián Tintori.

Da quattro mesi, però – a malincuore, dicono alcuni –, ha dovuto passare il testimone al giovane Guaidó. Il quale, ansioso di inaugurare un nuovo corso, finora, s’è mantenuto a “distanza di sicurezza” dal mentore. Lo stallo delle ultime, lunghe settimane l’hanno, però, obbligato a una scossa tellurica. E, così, il capo del Parlamento ha tirato fuori, nel senso letterale del termine, López. Insieme si sono presentati a La Carlota, la base principale della capitale che controlla l’aviazione nazionale, incastonata nel cuore di Caracas est.

La parte orientale della metropoli, per una bizzarra inversione delle coordinate della Guerra fredda, è feudo del fronte anti-chavista, come dimostra la sagoma stilizzata di López appesa ovunque e abbinata alla scritta: «Leopoldo libero». La Carlota, però, come il resto delle caserme-chiave, era un’isola madurista, anche grazie allo stretto controllo del ministero della Difesa e dei servizi segreti (Sebin). Gli stessi 007 incaricati di sorvegliare l’appartamento dove scontava la pena López. Ecco perché, presentandosi accanto a quest’ultimo, dentro i vigilatissimi 375 ettari di La Carlota, Guaidó ha ottenuto un effetto dirompente. E ne ha approfittato per lanciare l’appello ai militari.

«Unitevi a noi – ha arringato il leader, circondato da giornalisti, sostenitori e soldati con la fascia blu, simbolo della rivolta –, come hanno già fatto i vostri colleghi». Un esplicito riferimento agli uomini del Sebin con la cui complicità è stato liberato López e ai comandanti di La Carlota che hanno aperto ai due le porte della base.

Minuto dopo minuto, la gente ha cominciato a dirigersi verso La Carlota. Poi, guidato dal duo Guaidó-López, il corteo s’è spostato nel vicino quartiere di Altamira, dove è cresciuto a dismisura. “invadendo” Caracas est. Il balzo in avanti di Guaidó ha ottenuto il sostegno di gran parte della comunità internazionale, Usa in testa. Il Cile ha anche accordato protezione a López e familiari, ospiti nell’ambasciata a Caracas.

Da parte sua, il governo venezuelano, spiazzato, ha risposto con una strategia ambivalente. Da una parte, ha ostentato sicurezza, parlando di «pochi traditori» «prontamente fermati». Dall’altra, ha oscurato i media internazionali, nonché l’emittente nazionale Radio Caracas, prontamente chiusa. E lo stesso ministro della Difesa, Vladimiro Padrino López, dopo aver definito la «situazione sotto controllo», ha minacciato il ricorso alle armi.

E, in effetti, la guardia nazionale bolivariana s’è presentata con i mezzi blindati per fermare la rivolta nell’est. Negli scontri sono rimaste ferite decine di persone tra cui un militare chavista. La folla, però, ha resistito e, in tarda serata, s’è diretta verso ovest, la roccaforte madurista dove si trovano i principali edifici governativi. E dove l’esecutivo ha convocato i “suoi”. Via Twitter, perché stranamente né Maduro né il resto dell’esecutivo s’è presentato in tv. Fatto inusuale data la passione del presidente contestato per le telecamere. Blindato nel palazzo di Miraflores, sempre più isolato a livello internazionale ma ancora forte del prezioso sostegno di Mosca, il presidente, stavolta, resta a guardare.

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