sabato 6 febbraio 2021
Le spese di ricerca sono elevate, al pari però dei fondi pubblici che sono stati di 93 miliardi. Lento l’iter della richiesta alla Wto di Sudafrica e India: il sogno dei Paesi poveri sta naufragando
C'è resistenza a sospendere i brevetti sui vaccini, affare da 40 miliardi

Ansa

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«L'anno del vaccino». Così la stampa internazionale si è affrettata a etichettare il 2021, in opposizione al doloroso 2020, «l’anno della pandemia». La definizione, però, è ambigua. In primo luogo, è difficile capire quale quota di cittadini riuscirà ad essere immunizzata entro il prossimo dicembre. Le stime variano dal 10 al 30 per cento, percentuali comunque insufficienti per raggiungere l’immunità di popolazione a livello globale, ovvero il 75 per cento degli abitanti del pianeta. All’attuale ritmo di 4,5 milioni di dosi somministrate al giorno, potrebbero volerci sette anni. Oltretutto le medie sono sempre fuorvianti. L’attuale campagna di inoculazione si sviluppa a macchia di leopardo sul mappamondo. Gli Usa e la Gran Bretagna da sole hanno iniettato il 40 per cento delle fiale. Swaziland, Malawi e Mozambico, flagellati dalla seconda ondata provocata dalla variante sudafricana, non hanno ancora avuto nemmeno una dose, come denuncia Medici senza frontiere (Msf). L’apartheid vaccinale rischia, così, di sommarsi alle altre forme di apartheid di fatto che frammentano il globo.
Nel frattempo, il 2021 rischia di trasformarsi nell’anno del «grande business del vaccino». Un affare da 40 miliardi di dollari: tanti sono i guadagni delle case farmaceutiche coinvolte secondo l’analista di Bernstein, Ronny Gal. Una stima al ribasso. Solo i profitti dei colossi Pfitzer e Moderna – i cui prodotti sono stati approvati nella maggior parte dei Paesi occidentali, Italia inclusa –, sommati, superano i 30 miliardi, per ammissione delle stesse società. Moderna, in particolare, ha visto moltiplicare il valore delle proprie azioni del 700 per cento, passando da un fatturato annuo di 60 milioni a 62 miliardi. Sono proprio questi numeri a spiegare perché faccia tanta fatica a trovare accoglienza la proposta di India e Sudafrica, presentata il 2 ottobre scorso all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto), di sospendere temporaneamente i brevetti sui vaccini e gli altri dispositivi indispensabili al contrasto del Covid. Questa opzione, sottolinea Nicoletta Dentico, giornalista ed esperta di sanità, «consente a piccole e medie imprese farmaceutiche di accedere alle conoscenze esistenti e utilizzarle» per produrre in proprio i vaccini. Una rivoluzione copernicana per i Paesi poveri che avrebbero il vaccino al prezzo di costo. Finora, però, solo AstraZeneca si è impegnata a vendere a questi ultimi senza lucrare fino alla fine della pandemia. Moderna, invece, ha promesso che non si sarebbe opposta all’utilizzo della propria tecnologia da parte di altri. «Cure e vaccini sono beni pubblici globali – afferma Silvia Mancini, esperta di salute pubblica di Msf –. Considerarli tali è un vantaggio per tutti. La pandemia non sarà finita fin quando ci saranno focolai attivi nel pianeta». «I diritti esclusivi e i monopoli dei colossi farmaceutici sui brevetti impediscono che ci siano dosi sufficienti di vaccini sicuri ed efficaci», denunciano Oxfam, Emergency, Frontline Aids e Global Justice Now, membri della People’s Vaccine Alliance. «Congelare i brevetti è l’unico modo per vincere la pandemia», sottolineano. Oltretutto si tratta di una via praticabile e legale. La clausola è prevista nello stesso trattato istitutivo della Wto, il cosiddetto accordo Trips di Marrakesh del 1994.
L’articolo 9 contempla «eccezioni» alle regole vigenti sulla proprietà intellettuale in casi di particolare gravità. Come una pandemia, appunto. Tanto più che questa volta le aziende farmaceutiche hanno potuto contare su un’ingente iniezione di finanziamenti pubblici: 93 miliardi di dollari, di cui 83,5 destinati ai vaccini, secondo la Fondazione Kenup. Quasi un terzo di tale somma è stato sborsato dagli Usa, l’Ue ha contribuito con il 24 per cento, Giappone e Corea del Sud con il 13 per cento. Eppure la resistenza è forte. La proposta indo-sudafricana – sostenuta dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – deve ottenere il sì dei tre quarti dei Paesi membri. Ma l’orientamento di alcuni Stati cruciali – Usa, Ue, Gran Bretagna, Giappone, Svizzera e Australia – emerso anche nell’ultima riunione di giovedì, è di chiusura. A questi ultimi, Msf e vari gruppi della società civile hanno consegnato un appello alle loro ambasciate in Sudafrica: Italia e Brasile hanno perfino rifiutato di riceverla. Il prossimo mese è fondamentale: la Wto dovrebbe pronunciarsi nella prossima riunione del 1 e 2 marzo. Ma la decisione potrebbe slittare ancora. Nel frattempo, il Covid continua a uccidere.

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