martedì 29 ottobre 2019
Abdullah Qardash sarebbe stato scelto dal suo predecessore. «Daesh cerca una figura più razionale per allontanare il marchio delle atrocità»
Abdullah Qardash

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«Appena confermato che il sostituto numero uno di Abu Bakr al-Baghdadi è stato ucciso dalle truppe americane. Molto probabilmente avrebbe preso il comando. Ora è morto anche lui!». Lo ha annunciato oggi il presidente Usa Donald Trump in un tweet.

Morto un califfo se ne fa un altro. E sarà anche. Ma il detto difficilmente potrà essere seguito alla lettera. Certo, i seguaci del Daesh avevano meditato di eleggere un successore in caso di improvvisa scomparsa del loro leader, ma senza necessariamente riconoscergli l’altisonante titolo di “Califfo”. Già lo stesso Baghdadi era stato contestato da decine di ulema musulmani per la sua autoproclamazione a questa carica (basandosi su un’ipotetica discendenza da Maometto). Resta il fatto che, adesso, la primissima necessità della cerchia più stretta dei collaboratori di Baghdadi è quella di garantire la continuità della struttura organizzativa individuando una figura di riferimento. E vien fuori il nome di Abdullah Qardash. Lo riporta Newsweek citando fonti secondo le quali Qardash sarebbe stato scelto lo scorso agosto proprio da al Baghdadi. Secondo alcune fonti, però, sarebbe già morto e sepolto da tempo.

In ogni caso, di lui si sa che è stato un militare sotto Saddam Hussein (come la maggior parte dei quadri del Daesh, reclutati da Baghdadi subito dopo la sua scarcerazione dalla prigione americana di Camp Bucca, vicino a Bassora). La carriera militare di Qardash si concilierebbe con l’attuale fase che il Daesh sta vivendo, andando oltre le semplici capacità oratorie e il carisma del suo predecessore. Secondo Robert Baer, ex operativo della Cia ed esperto di terrorismo, il gruppo è alla ricerca di un successore «più efficace e pragmatico, più razionale», perché «le atrocità compiute da Baghdadi hanno reso il Daesh inaccettabile per la stragrande maggioranza dei musulmani, anche per quelli allineati su posizioni più radicali». L’organizzazione, che ha perso il 90% del suo territorio, punta a sopravvivere. Ma non solo: vuole rinascere. Contrariamente a quanto si afferma circa la «disfatta totale» del Daesh, i jihadisti sfuggiti alla morte o alla cattura risultano ancora trincerati in quattro enclave del deserto siro-iracheno: tre piccole sacche a Est di Deir Ezzor, e una di media dimensione nella provincia di Ninive. Non è chiara la motivazione politica o strategica che sta dietro l’indolenza di Damasco e Baghdad nell’espugnare quelle sacche, nonostante l’incombente pericolo che rappresentano.

Ma la fiamma della rivalsa è accesa. I capi jihadisti muoiono, l’ideologia no. L’eliminazione di Osama Benladen non ha messo fine all’attivismo di al-Qaeda. Anzi. E l’astro di Baghdadi ha cominciato a brillare nella volta del jihadismo proprio quando ha giurato di vendicare la morte di Benladen. Ci sarà ora chi vorrà vendicare Baghdadi. La scelta del leader di Daesh di farsi esplodere piuttosto che accettare la resa sarà celebrata come un glorioso martirio. Un’azione che può diventare, per molti affiliati sparsi nel mondo, un gesto da emulare.

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