mercoledì 24 agosto 2022
Sei mesi di guerra e nessuno spiraglio di luce. Purtroppo in Ucraina si continua a combattere e a morire. Senza meta. Il fronte è bloccato. Ovunque.
Un conflitto che dopo sei mesi somiglia alla Grande Guerra

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Sei mesi di guerra e nessuno spiraglio di luce. Purtroppo in Ucraina si continua a combattere e a morire. Senza meta. Il fronte è bloccato. Ovunque. Nel Donbass, caduta Pisky, nulla è mutato. Attaccare è ogni giorno più difficile. Le operazioni si riducono. I russi hanno problemi logistici e di effettivi. Non sanno trasformare le micro-avanzate in successi strategici. Fino a poco tempo fa, avevano l’iniziativa, che in guerra decide. Poi l’hanno persa, da almeno cinque settimane. Sono stati incapaci di concentrare le risorse e non hanno innovato. Consentono sistematicamente agli ucraini di organizzare nuove linee difensive, appena più arretrate. E la guerra è una fatica di Sisifo.

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Ripropone all’attaccante gli stessi dilemmi, ovunque si volti. Man mano, gli ucraini hanno preso le misure. Con i raid a distanza e le incursioni dei commando, stanno complicando la vita ai russi. Li hanno costretti a scaglionare i magazzini di armi molto lontano dalla prima linea. Al fronte arrivano meno munizioni e il confronto d’artiglieria si combatte ormai ad armi pari. Ecco perché le linee non si muovono. Nella guerra di posizione vince infatti chi può sparare di più, altrimenti è stallo. Lo si vede a Spartak e a Marinka, dove si muore in trincea. Passano le stagioni e nulla cambia. Quella estiva avrebbe dovuto segnare grandi manovre blindomeccanizzate. E invece le lancette della storia si sono fermate alla Prima guerra mondiale. Come nella Grande Guerra ci si dilania in un confronto usurante, che divora proiettili e corpi.

Le operazioni sono ardue, lentissime ed estenuanti. I fanti sono costretti ad attaccare posizioni fortificate, città e villaggi quasi blindati. È un successo per gli ucraini, che hanno retto su tutta la linea. Dopo sei mesi, l’Armata rossa continua ad essere mal comandata. Non ha imparato niente dalle lezioni di inizio guerra. Per un attimo, era sembrata mutare linea. Si era concentrata con successo sul solo saliente di Severodonetsk. Poi ha perso nuovamente la bussola. Ha ripreso a moltiplicare i settori d’attacco. Combatte ora simultaneamente a Kharkiv, Soledar, Bakhmut, Donetsk e Kherson.

Un attivismo irrazionale, che disperde le forze e non fa breccia da nessuna parte. Se i russi non avanzano, gli ucraini non brillano, nemmeno a sud. I raid in profondità, lungo il fronte, in Crimea e nelle marche di frontiera nemiche sono troppo sparpagliati per consentire un’azione offensiva dirompente. Per contrattaccare a Kherson e riprendere il fronte sud, le forze di Kiev dovrebbero essere numericamente doppie rispetto ai soldati nemici. E invece è già tanto se riescono ad eguagliarli. I due belligeranti mancano di mezzi a sufficienza per la spallata decisiva.

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Hanno difficoltà evidenti di risorse. Gli ucraini ricevono rinforzi al contagocce. Hanno alte perdite, non inferiori a decine di uomini al giorno. Fino a quando andrà avanti così? Stime attendibili raccontano che i russi hanno artiglierie a sufficienza per guerreggiare a questi ritmi fino al novembre 2023. Non avendo mobilitato la nazione, combattono con forze ridotte. Quando va bene hanno il triplo dei soldati nemici, ma il più delle volte la spuntano solo per 1,5 uomini a uno. Con queste proporzioni non si va da nessuna parte. Quando i due belligeranti capiranno finalmente che sul campo di battaglia non esiste margine di manovra per una soluzione vincente, sarà possibile negoziare. Su quali basi? Per ora, nessuno lo sa.

Si prospettano allora scenari alla coreana, con un fronte congelato su linee armistiziali? È un’ipotesi di molti analisti. Nel frattempo, in Ucraina c’è fermento diplomatico. La visita a Kiev del premier turco Erdogan e del segretario Onu Guterres si è accompagnata alla telefonata fra Vladimir Putin ed Emmanuel Macron. Segno che su alcuni temi i nemici si parlano. Sono passi microscopici, ma incoraggianti. Non inaugurano forse la stagione dei grandi negoziati, ma lasciano una porta socchiusa, che potrebbe spalancarsi dopo le elezioni statunitensi di metà mandato. Lo suggeriva pochi giorni anche fa un fondo in prima pagina del nostro giornale. Ed è davvero ora di far tacere le armi.

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