giovedì 12 maggio 2022
Scatta l’allarme nei Paesi dell’Est Europa. Per ora la riduzione del gestore Gtsou dai punti di ingresso di Sokhranivka e della stazione di Novopskov è stata del 25%. La mappa dei gasdotti
Il manometro di un gasdotto nella zona di Orlovka in Ucraina

Il manometro di un gasdotto nella zona di Orlovka in Ucraina - Reuters

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Come preannunciato alla vigilia, ieri si è verificata una chiara riduzione dei flussi di gas russo verso l’Europa. Al centro, lo stop deciso dall’operatore ucraino del gas (Gtsou) al punto di ingresso di Sokhranivka e della stazione di compressione di Novopskov, nell’Ucraina orientale sotto occupazione russa. «L’Ucraina – si legge in un comunicato di Naftogaz, la società di Kiev che gestisce i gasdotti di interconnessione tra Russia e Europa – non è più responsabile del trasporto del gas russo attraverso i territori sotto occupazione militare russa: si tratta di un terzo del volume totale del transito di gas verso l’Europa».

Il corridoio ucraino del gas serve anzitutto Italia, Austria, Slovacchia e altri Paesi dell’Est.

Complessivamente, secondo Gazprom, ieri i flussi erano scesi a 72 milioni di metri cubici, contro 95,8 del giorno prima, un calo di un quarto. Ieri l’agenzia tedesca per l’energia ha parlato di una riduzione del 25% del trasporto di gas verso la Germania, anche se ha precisato che i volumi e sono «stabili» e che la riduzione è stata compensata con volumi più elevati da Norvegia e Olanda.

Anche l’Italia ieri non ha riscontrato problemi, l’approvvigionamento di gas è apparso regolare: i flussi di Snam hanno registrato una riduzione delle forniture da Est a Tarvisio, compensata però da un incremento da Nord a Passo Gries. «La Russia – ha rassicurato il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov – intende continuare ad adempiere ai propri obblighi contrattuali».

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Già martedì sera Gtsou aveva dichiarato uno stato di «forza maggiore» per lo stop ai due impianti, lamentando che le forze di occupazione interferiscono, mettendo a repentaglio la sicurezza. Gazprom contesta questa interpretazione, affermando inoltre che l’annuncio dell’operatore di poter dirottare il flusso di gas verso il punto di ingresso di Sudzha, sotto controllo di Kiev, «non è tecnicamente possibile».

Gtsou smentisce: già nell’ottobre del 2020, afferma, per lavori sulla tratta di Sokhranovka, c’era stata una deviazione verso Sudhza. «Dunque – afferma su Facebook – le affermazioni che non sia possibile sono false». Rimane, però, una questione di capacità. In media, i flussi attraverso Sokhranovka sono pari a 23 milioni di metri cubi al giorno. La stazione di Sudzha ha disponibili 7 milioni di metri cubi (70 su 77 sono già occupati), sarebbe possibile aggiungerne altri 6, per un totale di 13 milioni, resta però ancora dove dirottare gli altri 10 milioni. Non sarà facile.

La vicenda sottolinea l’urgenza per l’Europa di liberarsi dalla dipendenza dall’energia russa. Secondo il Financial Times, mercoledì prossimo la Commissione Europea presenterà il piano RepowerEU che prevede la necessità di investimenti di 195 miliardi di euro di qui al 2027 per raggiungere quell’obiettivo, accelerando inoltre sulle rinnovabili per coprire il 45% della domanda entro il 2030. «Abbiamo abbastanza acquirenti per i nostri idrocarburi – ha commentato ieri il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov – lasceremo che l’Occidente paghi molto di più di quanto ha pagato la Russia e spiegheremo alla sua popolazione perché sarà più povera».

Il capitolo energetico resta caldo anche sul fronte dei difficili negoziati per il sesto pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia, con al centro l’embargo sul petrolio. Lo sblocco non c’è, ieri è stata nuovamente rinviata una videoconferenza tra la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il presidente francese Emmanuel Macron e i premier di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca.

A puntare i piedi è soprattutto l’Ungheria. «Se Bruxelles vuole essere seria sull’embargo al petrolio – ha scritto su Facebook il ministro degli Esteri Peter Szijjarto – questo sarà possibile solo escludendo la parte destinata agli oleodotti», e cioè quelli che riforniscono l’Ungheria (oltre che la Repubblica Ceca e la Slovacchia). La Commissione, intanto, lavora a un piano per la confisca dei beni congelati di persone ed entità russe sottoposti a sanzioni, anche per finanziare un fondo di risarcimento delle vittime ucraine.

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