sabato 7 gennaio 2023
L'accusa: i russi attaccano in sette regioni. A Kharkiv la Cattedrale greco-cattolica diventa oasi di speranza oltre le bombe. La storia della famiglia che porta i canti fra gli sfollati
Il presepe davanti alla Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv

Il presepe davanti alla Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi

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«Dai, bambini andiamo». Con una grande stella disegnata dai due figli, Svetlana Lukyryc ha suonato alla porta di casa dei vicini. «Era venerdì sera. E, come vuole la tradizione, alla vigilia di Natale intendevamo regalare un canto a chi abita accanto a noi», racconta. Stavano per essere cacciati. «Sa, le bombe che continuano a cadere hanno reso tutti più paurosi, sospettosi e nervosi». Soprattutto in una città come Kharkiv, la seconda del Paese con un milione di persone che dista meno di cinquanta chilometri dal confine russo e che, nelle statistiche, è stata la metropoli dove con la sua regione gli allarmi anti-missile sono suonati di più: 1.558 volte in nove mesi di guerra. Alla fine Svetlana e i suoi ragazzi, Vladislav 9 anni e Ana di 3, li hanno convinti. «E c’è stato un piccolo miracolo di Natale. Dopo lo spettacolo familiare, non finivano più di ringraziarci. E hanno confidato: “Avevamo deciso che non avremmo celebrato alcun che. Come si fa a festeggiare se vieni bersagliato di missili? Invece ci avete aperto uno spiraglio di luce”».

La Messa di Natale nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv

La Messa di Natale nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi

Il Natale dell’Ucraina è quello del 7 gennaio: il più sentito dalla gente, quello che unisce le maggiori comunità cristiane, gli ortodossi e i greco-cattolici, secondo il calendario giuliano. Un Natale vissuto tra frustrazione e speranza. Frustrazione per un conflitto nel quale non si vedono spiragli. Speranza perché, nonostante gli attacchi, c’è voglia di riprendere a vivere. E di tornare a casa. Lo testimonia proprio Kharkiv che, benché rimanga sotto tiro e per oltre un terzo sia distrutta, ha ripreso a popolarsi dopo la grande fuga della scorsa primavera. «Ormai tutto il Paese può essere colpito. Non c’è un luogo sicuro. Allora la gente decide di riconquistare la sua abitazione, come i nostri militari riconquistano i territori in mano ai russi», spiega ad Avvenire il sindaco Ihor Terekhov. «L’elettricità, l’acqua, il riscaldamento possono mancare ovunque – prosegue –. Qui siamo in grado di ripristinarli in tempi rapidi: è accaduto dopo ogni bombardamento agli snodi energetici. E abbiamo già iniziato la ricostruzione: così al nemico mostriamo che non ci ha paralizzati. Quindi, se può essere difficile vivere il Natale al tempo della guerra, è altrettanto vero che nessuno può toglierci la felicità».

Il saluto del sindaco di Kharkiv, Ihor Terekhov, al termine della Messa di Natale con l'esarca Vasyl Tuchapets

Il saluto del sindaco di Kharkiv, Ihor Terekhov, al termine della Messa di Natale con l'esarca Vasyl Tuchapets - Gambassi

Un Natale anche di accuse. Per la tregua di 36 ore annunciata dal presidente russo Putin. Un cessate il fuoco mai accettato da Kiev che fin da subito l’ha definito strumentale e di facciata. Il silenzio delle armi non regge. E ciascuno dei due Paesi chiama l’altro sul banco degli imputati. Mosca denuncia almeno 170 violazioni con colpi d’artiglieria ucraina in tutto l’Est. E anche un bombardamento a Donetsk con dieci razzi. Il Paese aggredito replica sostenendo di aver registrato attacchi russi in almeno sette regioni con un morto a Kherson e due nel distretto di Bakhmut dove il portavoce delle truppe ucraine dichiara che sono in corso «feroci battaglie».

Ed è anche il giorno dello scontro con la Chiesa ortodossa ucraina legata al patriarcato di Mosca: dopo averla cacciata dalla Cattedrale dell’Assunzione nelle Monastero delle grotte a Kiev, concessa subito per il Natale alla rivale Chiesa ortodossa dell’Ucraina staccatasi da Mosca, il presidente Zelensky sospende la cittadinanza a tredici preti della Chiesa sotto scacco accusati di atti filorussi. Dura la replica del Cremlino: è «satanismo».

La Messa di Natale nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv presieduta dall'esarca Vasyl Tuchapets

La Messa di Natale nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv presieduta dall'esarca Vasyl Tuchapets - Gambassi

A Kharkiv le sirene anti-aeree scattano quattro volte nel giorno della festa. «Putin è un fariseo: ora si presenta come l'uomo buono mentre è il primo responsabile di questa tragedia a cui non mette fine», dice l’esarca greco-cattolico della città, il vescovo Vasyl Tuchapets. È piena per la liturgia della Natività la cripta della Cattedrale mai conclusa per lo scoppio del conflitto. Quello stesso seminterrato che nel primo mese dell’invasione era aveva accolto decine di famiglie. «Adesso rimane un rifugio in caso di allarmi – racconta suor Olexia, energica religiosa di San Giuseppe –. E soprattutto un’oasi per i bambini che hanno visto la loro vita sfregiata dalla paura delle bombe». Ecco perché è un susseguirsi di canti e spettacoli nella chiesa. «Il Natale è sempre fonte di gioia – spiega l’esarca –. Anzi, lo è ancora di più quando si è aggrediti. Infatti dall’Emmanuele viene la pace: anche quella che la nostra nazione attende al più presto». Una pausa. «Sì, è vero che c’è stanchezza nella gente. Il peso del conflitto è sempre più difficile da sopportare. Ma non ci potrà mai essere una soluzione giusta e accettabile finché una parte del popolo ucraino rimarrà prigioniero di una potenza straniera. Perciò affidiamo il nostro desiderio di libertà al Bambino nato in una mangiatoia, ossia in un luogo inospitale così simile a quelli in cui abitano le famiglie che hanno le case distrutte o risiedono in zone dove mancano l’energia elettrica e l’acqua».

L'incontro natalizio di bambini e famiglie nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv

L'incontro natalizio di bambini e famiglie nella Cattedrale greco-cattolica di Kharkiv - Gambassi

A scandire la vigilia è la mano tesa ai tremila “poveri di guerra” che ogni settimana la Cattedrale greco-cattolica soccorre. In una metropoli dove trova un tetto chi fugge dai villaggi liberati in cui tutto è stato raso al suolo, si vive di carità. E qui è possibile reperire ciò che serve: una coperta, un maglione, una busta di patate, un pacco di pasta, le medicine, i pannolini per il figlio neonato. «Decliniamo nel concreto il Vangelo», sottolinea il vescovo. Alla Messa arriva a sorpresa il sindaco di Kharkiv, che mai ha nascosto di essere un ortodosso della Chiesa legata al patriarcato di Mosca. Fra le panche anche alcuni soldati. La parola “pace” torna più volte nel rito: pace per le famiglie, per «chi ci protegge», per «chi ha responsabilità di governo», per l’Ucraina. E la invocano i ragazzi quando nel pomeriggio fanno la fila davanti al presepe per regalare un “pensiero d’auguri”. Fedir si presenta con un’asta da cui scendono le strisce con i colori del Paese invaso. «Gesù, portaci la pace», scandisce al microfono. E l’applauso accompagna il suo inchino.

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