sabato 4 febbraio 2023
Viaggio nel quartiere di Zhukovskogo. L’aiuto della Caritas sfama 1.500 “ritrovati”. Nella casa dove Lubov è tornata un mese fa, le finestre senza vetri: «Tanto ci attaccheranno ancora» / VIDEO
Gli sfollati riconquistano Kharkiv: «Sfidiamo le bombe, qui è casa nostra»
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«Vede il palazzo qui davanti? Un missile l’ha centrato ad aprile. Le famiglie che stavano al quinto piano, dove l’ordigno è piombato, sono salve per miracolo». Lubov Volchanska riprende fiato. «E poco più in là c’era il mercato locale. Un razzo è caduto mentre era pieno di gente. È stata una strage. Ci sono stati molti morti». Non esistono finestre intatte nell’appartamento della signora Lubov. I vetri sono stati sostituiti dai teloni in nailon trasparenti oppure da assi di truciolato che anche a mezzogiorno rendono le stanze buie come se il sole fosse già tramontato. In cucina dove si apparecchia la tavola nella penombra e si prepara il pranzo, la luce va e viene per i continui blackout. «Tanto è inutile riparare i vetri: prima o poi arriverà qualcos’altro dal cielo», sostiene la padrona di casa. Lei è un’ex docente di inglese all’Università aerospaziale di Kharkiv. «Ne esistevano soltanto due nell’ex Urss: una a Mosca e una qui a Kharkiv. La nostra era ed è ancora un’eccellenza in tutto l’est», dice orgogliosa.

Lubov Volchanska tornata un mese fa nel suo appartamento che resta senza vetri per gli attacchi russi

Lubov Volchanska tornata un mese fa nel suo appartamento che resta senza vetri per gli attacchi russi - Gambassi

Da un mese è tornata a vivere nel suo appartamento al terzo piano di uno dei condomini di stampo sovietico che formano il quartiere di Zhukovskogo. Era un villaggio. Ora fa parte dell’hinterland di Kharkiv e di quella periferia a nord della metropoli che è la più vicina al confine russo, a meno di quaranta chilometri. In quindicimila vivevano in questo abitato-dormitorio. Dopo i primi due mesi di guerra, quando i raid russi erano una costante sia di giorno sia di notte, la maggioranza dei residenti l’ha abbandonato. Adesso riprende a vivere. Perché gli evacuati hanno scelto di riconquistare le proprie case, come l’esercito ucraino ha riconquistato i territori occupati della regione. Anche se è uno degli angoli “facili” da bombardare con i razzi che partono al di là della frontiera e che impiegano meno di un minuto per cadere sul bersaglio. Sulle facciate restano i segni del fuoco nemico e delle schegge che hanno perforato mura e portoni d’ingresso.

Gli ex sfollati in coda per il cibo distribuito dai volontari Caritas nel quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv

Gli ex sfollati in coda per il cibo distribuito dai volontari Caritas nel quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv - Gambassi

Zhukovskogo racconta bene il controesodo che investe l’Ucraina e di cui Kharkiv è una sorta di emblema. I profughi che si erano rifugiati nell’ovest o addirittura in Europa si stanno riappropriando delle terre d’origine, soprattutto nell’est del Paese. Come succede nell’ex capitale, la seconda città dopo Kiev, che è la più colpita dagli attacchi di Mosca, stando a un macabro conteggio bellico degli undici mesi di guerra. A maggio gli abitanti erano scesi a 700mila; all’inizio del 2023 hanno già superato il milione e 100mila, ha annunciato il sindaco Igor Terekhov.

Il quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv che torna a vivere anche se continua a essere nel mirino dei russi

Il quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv che torna a vivere anche se continua a essere nel mirino dei russi - Gambassi

«Si sceglie di tornare perché i soldi sono finiti, perché gli affitti sono troppo cari nei luoghi dove si è sfollati, perché si è disoccupati. E soprattutto perché ci si sente ospiti nullafacenti», racconta Dima Vigurskaya. È uno dei venti volontari di Caritas-Spes che ogni due settimane arrivano in una delle piazze di Zhukovskogo e allestiscono in meno di mezz’ora un hub della solidarietà, con tavoli e bancali di viveri, per sfamare il quartiere dei “ritrovati”. L’appuntamento per la distribuzione di fagioli, tè, pasta, barattoli di piselli, farina è alle dieci del mattino. Mezz’ora prima sono già in millecinquecento in coda. Una fila ordinata, secondo i numeri che i capi-condominio hanno consegnato nei giorni precedenti. Ad anziani e famiglie con bambini piccoli, per lo più, che restano lì anche per due ore, sferzati dal vento gelido che rende insopportabile gli otto gradi sotto lo zero segnati dai termometri dei furgoni della Caritas. «Si mangia in mezzo alle bombe grazie alla generosità dell’Occidente - riferisce il direttore diocesano di Caritas-Spes, don Wojciech Stasiewicz -. Ormai i bisogni crescono in modo esponenziale per un conflitto nel quale non si vedono sbocchi».

Gli ex sfollati tornati nel quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv, in coda per il cibo distribuito dai volontari Caritas

Gli ex sfollati tornati nel quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv, in coda per il cibo distribuito dai volontari Caritas - Gambassi

«Se ho paura a riprendere a vivere qui? Chi non l’avrebbe… Ma sono una donna anziana e non riuscivo più a stare lontana da casa», spiega Lubov mentre svuota le borse con il cibo. È stata profuga a Kiev. «Un bell’appartamento in un grattacielo moderno. Però mi sentivo persa». Il quartiere di Zhukovskogo dice l’animo di chi lo riabita, dove fatalismo, assuefazione alla guerra e tenace resistenza si intrecciano. I marciapiedi e le aiuole con la neve mostrano le voragini dei missili piovuti nelle scorse settimane: l’ultimo quindici giorni fa. «Ma ci sono appartamenti sventrati dalle bombe che sono già stati ricostruiti», racconta il volontario della Caritas. Lo testimoniano le macchie d’intonaco nuovo sui palazzoni grigi. «Qui molti non hanno più un lavoro. E si sopravvive con gli aiuti umanitari e i piccoli sussidi pubblici», aggiunge Dima.

Gli appartamenti con le finestre ancora danneggiate dalle esplosioni nel quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv

Gli appartamenti con le finestre ancora danneggiate dalle esplosioni nel quartiere di Zhukovskogo a Kharkiv - Gambassi

Nel condominio di Lubov una famiglia è rientrata due giorni fa. «Si vedono spesso esplosioni rosse lungo il confine. Ancora mi chiedo come mai la Russia abbia deciso di ucciderci e di distruggerci tutto. O meglio, una risposta me la sono data: Putin vuole il nostro mare», sospira la professoressa in pensione. Il marito è nella stanza accanto. Si muove con le stampelle. «È originario della Bielorussia. Lui ama la Russia ma condanna l’invasione dell’Ucraina». E con la mente torna agli anni in facoltà. «Andavo spesso a insegnare in Crimea e ogni volta mi fermavo due settimane: avevamo là un dipartimento. Anche quella è terra nostra. E fra i miei studenti c’era un nutrito gruppo di iraniani: hanno imparato tanto da noi e ora vendono i droni al nostro invasore per ammazzarci». All’orizzonte si sente un colpo d’artiglieria. «Non capisco perché il popolo russo non fermi il conflitto. Abbia la dignità di ribellarsi a un dittatore». Le sue parole sono in ucraino. «Ma qui l’80 per cento della gente parla o ha radici russe. Ecco perché è un’aggressione fratricida». La pasta è quasi cotta. «Mosca non ha fermato la nostra vita - conclude la donna -. Nessuno può cacciarci dalle casa dove abbiamo i nostri ricordi. E siamo tornati anche per far sapere al Cremlino che non arretriamo e non ci arrendiamo».

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