venerdì 9 dicembre 2022
L'Ohchr, l’ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, continua a raccogliere informazioni e documentazione sulle violenze contro persone inermi
Mykola Melenets abbraccia la madre Nina durante la sepoltura del fratello, Oleksandr di 44 anni, morto sotto le bombe nel villaggio di Kamyanka vicino a Izyum, nella regione di Kharkiv

Mykola Melenets abbraccia la madre Nina durante la sepoltura del fratello, Oleksandr di 44 anni, morto sotto le bombe nel villaggio di Kamyanka vicino a Izyum, nella regione di Kharkiv - Reuters

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Quando la neve si scioglierà, il lungo sentiero dei crimini di guerra sarà percorribile in 102 tappe. Le prime, non le uniche. Da Kiev al Donbass, dalla confine bielorusso ai campi minati verso la Crimea, nei primi 40 giorni di guerra sono state inflitte torture fino alla morte ed esecuzioni per 441 civili disarmati: 341 uomini, 72 donne, 20 ragazzini e 8 ragazze. Ed era solo l’inizio.

Una mattanza deliberata, persona per persona, ucraino dopo ucraino, ricostruita nel rapporto della missione Onu a Kiev. Il più duro atto d’accusa contro il Cremlino e gli esecutori militari degli ordini di Vladimir Putin. Perché non c’è niente di incidentale nelle fucilazioni dei civili inermi. Ci sono voluti mesi di indagini, riscontri sul campo, perizie legali, testimonianze incrociate per confermare quello che i superstiti denunciavano. A luglio le “Bucha” individuate dagli investigatori internazionali erano 16, oggi bisogna moltiplicarle almeno per dieci. Proprio a Bucha la missione Onu «è in procinto di confermare altri 105 omicidi», e ulteriori 200 casi di civili trucidati nel resto del Paese vengono esaminati in questi giorni.

Le informazioni a disposizione dell'Ohchr, l’ufficio Onu per i diritti umani, «indicano che il numero totale di esecuzioni sommarie e attacchi letali diretti contro singoli civili da parte delle forze armate russe nelle tre regioni di Kiev, Chernikiv e Sumy durante il periodo di riferimento - avverte il dossier - è considerevolmente più elevato».

Sin dai primi giorni nei 102 centri abitati individuati dall’Onu lo schema di occupazione si è ripetuto secondo un modello preordinato. Niente di casuale o improvvisato. «I civili sono stati detenuti in case, scantinati, garage, negli uffici postali, in complessi agricoli o altri locali occupati dalle truppe russe». I corpi dei civili uccisi «sono stati trovati in strutture di detenzione improvvisate e, nella maggior parte dei casi, ammanettati o con le mani legate con nastro adesivo». Sui cadaveri il segno del disprezzo: «Ferite da arma da fuoco alle estremità o nella zona inguinale, coltellate e arti mutilati, suggeriscono che le vittime sono state torturate prima di essere state uccise».

A causa della precipitosa ritirata non sempre le forze di Mosca sono riuscite a distruggere le prove dei propri crimini. La condizione dei resti, rinvenuti a mesi di distanza, non ha permesso nell’immediato l’esatta ricostruzione delle sevizie subite, ma in più di un caso «il corpo della vittima presentava ferite che suggerivano violenza sessuale».

Tutto il materiale raccolto è sui tavoli della Corte penale internazionale dell’Aja, che partecipa con propri investigatori alle indagini. Non c’è prova di improvvisi e isolati raptus di singoli soldati. Semmai la conferma di un piano sistematico, su vasta scala, messo in atto sin dal suo primo capitolo, dal 24 febbraio al 6 aprile. Alcuni giorni dopo lo stesso Putin premierà con scintillanti medaglie i boia di Bucha, colpevoli di aver sterminato quasi 400 civili.

I morti accertati trai civili sono quasi 7mila, ma si tratta di stime prudenziali anche perché le forze russe continuano a negare il permesso di accesso alle aree sotto il proprio controllo, dove viene segnalato il maggior numero di vittime.
Uomini adulti e minorenni di sesso maschile costituiscono l'88% dei bersagli colpiti nel corso di esecuzioni sommarie, «il che indica che erano stati presi di mira - scrivono gli investigatori internazionali - in modo sproporzionato».

Molto spesso i comandanti russi hanno dato l’ordine di nascondere o distruggere le prove dei crimini. Perciò investigare «sulla tortura e sulla violenza sessuale - spiegano gli autori del report - presenta ulteriori sfide se i corpi vengono riesumati in stato di avanzata decomposizione».

Oltre all'esecuzione sommaria di civili, il rapporto copre casi in cui le truppe russe hanno lanciato attacchi che non hanno rispettato il principio di distinzione tra obiettivi militari e civili e non hanno preso tutte le precauzioni possibili per risparmiare i civili. «I civili sono stati presi di mira sulle strade mentre si spostavano all'interno o tra gli insediamenti, anche mentre tentavano di fuggire dalle ostilità», ha detto Matilda Bogner, capo della Missione di monitoraggio Onu in Ucraina.

Il rapporto esamina più dettagliatamente 100 omicidi. «L'Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite non ha trovato alcuna informazione che le autorità russe abbiano attivamente indagato o perseguito nessuno di questi casi», denuncia ancora Bogner.
Dei 100 casi esaminati, 57 vengono annoverati alla voce «esecuzioni sommarie» (48 uomini, 7 donne e 2 bambini), 30 di queste sono avvenute in luoghi di detenzione, altre 27 persone sono state uccise sul posto, dopo essere state controllate dalle forze russe.

Le altre 43 uccisioni esaminate (27 uomini, 13 donne e 3 ragazzi), riguardano civili uccisi mentre si muovevano all'interno dei villaggi o spostandosi tra centri vicini. Alcuni andavano in bicicletta, altri a piedi, in trattore, in auto. «La maggior parte delle vittime è stata presa di mira mentre si recava al lavoro, consegnava cibo ad altri, visitava vicini o parenti, o mentre cercava di fuggire dalle ostilità».

In tutti i casi documentati, l’Ufficio dell’alto commissario per i diritti umani ha riscontrato che i responsabili non hanno neanche tentato di prendere «tutte le precauzioni possibili per risparmiare i civili».

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