venerdì 17 giugno 2016
14 domande e risposte sul referendum del 23 giugno in Gran Bretagna.
Cosa cambierebbe (anche per noi) con la Brexit
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1) CHE COSA SIGNIFICA BREXIT? Con il termine Brexit (acronimo di Britain Exit) si indica l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea che potrebbe essere sancita dal referendum in programma il prossimo 23 giugno 2016. 2) DA CHI È STATO INDETTO IL REFERENDUM DEL 23 GIUGNO?  L’anno scorso durante la campagna elettorale il premier David Cameron promise agli elettori che se lo avessero confermato Primo Ministro avrebbe organizzato una consultazione popolare sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. 3) QUALI SONO LE RAGIONI DEL LEAVE/OUT?La paura dell’immigrazione incontrollata, il timore che il welfare non sia più sostenibile, il sospetto che a conti fatti la Gran Bretagna ci perda nella partita finanziaria con l’Europa. Nel Regno Unito il tasso di disoccupazione arriva solo al 5,1% contro il 9% dell’Unione Europea, così come il Pil pro capite calcolato in euro britannico è pari a 33.842 mentre quelle europeo arriva solo a 26.604, ma soprattutto sono quei 4 giorni e mezzo – tanto occorre a Londra per avviare un’attività imprenditoriale contro i 10,2 dell’Europa – a fare la differenza. I partiti e gli esponenti politici favorevoli all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea sostengono che l’influenza di Bruxelles sulle politiche del Paese sia di fatto insostenibile e costi miliardi di sterline senza dare niente in cambio. Inoltre, porre alcuni limiti alla libera circolazione delle persone ridurrebbe il flusso di migranti che ogni anno sbarcano in Gran Bretagna in cerca di lavoro. 4) QUALI SONO LE RAGIONI DEL REMAIN/IN?L’uscita dalla Ue costerebbe mediamente a ogni famiglia del Regno Unito almeno 3.200 sterline annue, pari a circa 4.600 euro, visto che Londra versa all’Unione poche centinaia di sterline l’anno per ogni famiglia ottenendone in cambio oltre 3.000 di benefit: la Brexit in sostanza si mangerebbe il 3% del Pil britannico per i prossimi 5 anni, ma il calo raddoppierebbe al 6% entro il 2030. Ancor più disarmanti i calcoli della Confederation of British Industry, che attribuisce alla Brexit un costo enorme per l’economia e l’occupazione del Regno Unito: quasi un milione di posti di lavoro in meno entro il 2020, dai 100 ai 130 miliardi di sterline perduti dall’economia (il 5% del Pil), un aumento del tasso di disoccupazione del 2-3% e un calo della crescita tra il 3,8 e il 7,5%. Ma il Regno Unito vende alla Ue il 44 per cento delle sue esportazioni: dunque l’uscita sarebbe molto più che traumatica. Lo stesso Cameron, dopo aver proposto il referendum si è schierato contro la Brexit poiché ritiene di essere riuscito a negoziare con Bruxelles sufficienti garanzie in merito all’indipendenza del Regno Unito in materia di politica estera ed economica. In particolare ha negoziato alcuni punti, tra i quali: l’entità dei sussidi concessi ai migranti; la conferma della non adozione dell’Euro; il rimborso delle somme messe a disposizione dalla Gran Bretagna per salvare gli stati in difficoltà; l’esclusione del Regno Unito dall’impegno a collaborare attivamente per “un’Unione sempre più stretta” come previsto nei trattati europei. Anche la maggior parte del mondo accademico britannico è schierata per il Remain. Da un sondaggio lanciato da Nature su 907 ricercatori inglesi attivi, l’83% si è detto convinto di voler restare nella UE. Dal 2006 al 2015, Il Regno Unito ha ricevuto l’equivalente di 10 miliardi di euro in assegni di ricerca dall’UE. Poiché è tra i Paesi più ricchi d’Europa, contribuisce per il 12% al budget totale della UE per la ricerca scientifica, ma riceve sotto forma di finanziamenti una fetta pari al 15% del totale. Prende quindi più di quello che versa, e anche grazie ai fondi europei è diventata uno dei paesi leader nella fisica, nelle nanotecnologie, nelle neuroscienze e nella medicina. 5) CHE COSA DICONO I SONDAGGI? È REALISTICO IPOTIZZARE L’USCITA DI LONDRA DALLA UE?I sondaggi sono drogati dalla loro stessa tecnica di campionamento: rivolgendosi prevalentemente a soggetti digitalmente avanzati e con grande dimestichezza con internet escludono la working class e le persone anziane riducendo il campione ad aree non omogenee. Per questo ci sono discrepanze anche del 10% tra un sondaggio e l’altro. La riposta vera verrà soltanto dalle urne. 6) NEL CASO IN CUI PREVALGA IL “LEAVE”, LONDRA SAREBBE AUTOMATICAMENTE FUORI DALLA UE?Nell’immediato non cambierà praticamente niente. Il referendum è consultivo e non ha alcun valore legale per il Parlamento. In caso di vittoria del Sì il governo britannico dovrà quindi ridiscutere con l’UE tutti i trattati che ha siglato e trovare un accordo sulle condizioni dell’uscita. 7) IN CASO DI USCITA, LA GRAN BRETAGNA POTREBBE TORNARE IN FUTURO A FAR PARTE DELLA UE?Dipende dagli accordi che ne regoleranno l’eventuale uscita. Allo stato attuale è impossibile prevederlo. 8) QUALI SONO LE POSSIBILI CONSEGUENZE PER LA GRAN BRETAGNA E PER L’EUROPA DELL’USCITA DI LONDRA DALLA UE?Secondo molti analisti sono in gioco 3 milioni di posti di lavoro. il 13 per cento dei cittadini europei risiede in Gran Bretagna e l’economia britannica rappresenta il 17 per cento della potenza economica della Ue. Ma soprattutto Londra dovrebbe rinegoziare 35 accordi commerciali con altrettanti Paesi mentre nell’attesa gli interscambi obbedirebbero alle regole del Wto. Ma i cambiamenti sarebbero epocali: i pensionati britannici residenti all’estero perderebbero i vantaggi garantiti ai membri della Ue, primo fra tutti l’assistenza sanitaria gratuita. 9) CI SAREBBERO RIPERCUSSIONI SUL CAMBIO EURO-STERLINA?Gli economisti si aspettano una svalutazione della sterlina rispetto alle altre monete: per gli stranieri sarà più conveniente andare a fare le vacanze a Londra e gli inglesi pagheranno un po' di più i prodotti di importazione. 10) COME REAGIREBBERO LE BORSE?Impossibile prevederlo: la sensibilità e la volatilità dell’umore borsistico e dei mercati è ancor più bizzarra e imponderabile delle previsioni meteorologiche a Londra. 11) QUALI CONSEGUENZE POTREBBE AVERE SULL’ITALIA L’ESITO DEL REFERENDUM? Buona parte del 600.000 italiani che lavorano in Gran Bretagna potrebbero essere indotti a rientrare in patria, così come una fetta dei 20.000 cittadini britannici che in Italia vivono e lavorano. E chi resterà dovrà procurarsi un permesso di soggiorno. Molte aziende italiane che esportano nel Regno Unito dovranno fare i conti con i dazi doganali che renderanno i nostri prodotti meno competitivi, così come per noi diventeranno più cari i farmaci, i servizi finanziari, le tecnologie per le energie rinnovabili e le automobili made in Uk. 12) VIAGGIARE E STUDIARE IN GRAN BRETAGNA SAREBBE PIU' O MENO CONVENIENTE?La retta annuale in un’università britannica si aggira attorno ai 12 mila euro. In caso di Brexit salirebbe tra i 16 e i 22 mila euro. Facilitazioni, sconti e opportunità normalmente in atto nel Regno Unito sarebbero tutte da riclassificare. E molto probabilmente tutto costerebbe di più. 13) CHE COSA CAMBIEREBBE PER GLI ITALIANI CHE VIVONO NEL REGNO UNITO?Nulla si sa per quelli che già ci vivono e lavorano, anche se si sospetta che vi sarebbero restrizioni e svantaggi. Non è chiaro se l’assistenza sanitaria basata sulla reciprocità della Ue continuerebbe a funzionare. Probabilmente un italiano che si presentasse a un pronto soccorso inglese non avrebbe più un trattamento gratuito. Annullati anche i sussidi di disoccupazione e la possibilità di ottenere un alloggio popolare. 14) NELL’IPOTESI DI BREXIT CHE COSA CAMBIEREBBE IN MATERIA DI SICUREZZA INTERNAZIONALE E LOTTA AL TERRORISMO IN EUROPA? Il maggior controllo sui flussi migratori potrebbe dare qualche piccolo risultato. Ma non sono tanto i foreign fighters che preoccupano, quanto il terrorismo fai-da-te o il jihadista della porta accanto. E in tal senso chiudere le frontiere servirebbe a poco.
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