martedì 4 settembre 2018
Il presidente sbotta, i repubblicani scivolano nei sondaggi: la Camera è a rischio nel voto di midterm, tra due mesi, e anche il Senato è in bilico
Il due volte premio Pulitzer, Bob Woodward (Ansa)

Il due volte premio Pulitzer, Bob Woodward (Ansa)

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A due mesi dalle politiche di midterm di novembre, che equivarranno a un referendum sull’operato di Donald Trump, il presidente Usa e i repubblicani scivolano nei sondaggi, e aumentano le possibilità che il partito al potere perda il controllo della Camera e forse anche del Senato.

La maggioranza degli elettori americani, il 52%, stando a Washington Post e Abc News, preferisce infatti un democratico a un repubblicano, un segnale pericoloso per la Casa Bianca. Le ultime rilevazioni mostrano anche che il crollo del tycoon nel gradimento popolare continua. Usa Today e Reuters calcolano che fra il 56 e il 57% degli americani disapprova dell’operato del presidente. Sono dati che allarmano Trump, che ha dipinto l’appuntamento di metà mandato come cruciale, mettendo in guardia i suoi sostenitori che se i democratici assumeranno il potere alla Camera cancelleranno le leggi approvate negli ultimi 19 mesi e potrebbero avviare un procedimento di messa in stato di accusa del capo dello Stato sulla base dei risultati delle indagini sulla collusione con a Russia.

Un rapporto sul Russiagate del procuratore speciale Robert Mueller potrebbe infatti essere presentato al dipartimento alla Giustizia prima delle elezioni, e il team legale di Trump ha già fatto sapere che in quel caso tenterà di impedire che sia reso noto al pubblico.

Al puzzle che Mueller ha composto nell’ultimo anno manca però l’importante tassello della testimonianza del presidente, finora impedita dai suoi avvocati. Ma ieri il procuratore speciale ha fatto sapere che accetterà le risposte scritte dal magnate alle sue domande sulla possibile collusione della sua campagna con i russi, ma non sull’ipotesi di ostruzione della giustizia.

A causare mal di testa a Trump in queste ore è anche l’imminente pubblicazione di «Fear» (Paura), il libro scritto dal leggendario giornalista del Watergate Bob Woodward. Un volume esplosivo nel quale, secondo le anticipazioni, Trump viene definito dai suoi più stretti collaboratori «un idiota» e una persona «instabile».

Ieri il diretto interessato è tornato all’attacco dell’autore, invocando un cambiamento delle leggi sulla diffamazione da parte del Congresso e definendo «vergognoso che qualcuno possa scrivere un articolo o un libro, inventando totalmente delle storie e creando un’immagine di una persona che è letteralmente l’opposto della realtà».

Negli Stati Uniti, la diffamazione è strettamente legata alla difesa del Primo emendamento, che protegge la libertà di parola, soprattutto nei confronti dei personaggi pubblici. Ma in attesa di un – improbabile – intervento legislativo, il repubblicano si è difeso da solo, definendo Woodward un «agente democratico» e negando la sua descrizione della Casa Bianca come una «gabbia di matti guidata da un incapace e sempre sull’orlo di una crisi di nervi». Nel volume il premio Pulitzer rivela anche che Trump voleva che il presidente siriano, Bashar al-Assad, venisse assassinato lo scorso anno, dopo l’attacco con il gas contro i civili nell’aprile del 2017.

E ieri il Commander in chief è tornato a lanciare strali anche contro la Nike, rea di aver ingaggiato nella sua nuova campagna Colin Kaepernick, l’ex quarterback della squadra di football dei San Francisco 49ers, promotore del boicottaggio dell’inno nazionale Usa prima delle partite come protesta contro l’ingiustizia razziale negli Usa. «Nike sta morendo a causa della rabbia e del boicottaggio. Non hanno idea di dove andranno a finire», ha scritto Trump su Twitter.

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