sabato 12 marzo 2022
Siberiano solo per nascita, prende le armi per difendere la sua terra, l'Ucraina. È stato il primo giocatore ex sovietico a debuttare nella Nba nel 1989. Sei giorni dopo cadde il muro di Berlino
La leggenda Sasha Volkov prende le armi in Ucraina: è stato il primo ex sovietico in NBA

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Quando si dice che la vita fa giri immensi. È stato campione con la nazionale di basket dell'Urss, ma anche primo fra i sovietici ad approdare nella Nba, dopo la caduta del muro. E oggi "Sasha" Volkov a 58 anni è tornato a difendere la sua amata terra, l’Ucraina, assediata dai militari russi.
In una foto che ha mandato via whatsapp ai suoi amici del mondo del basket italiano, tra cui Charlie Recalcati e Dino Meneghin, lo si vede in auto con lo sguardo rivolto al cellulare, un poco assorto, mentre completa la ronda per le strade di Kiev, catapultato in uno scenario di guerra fino a poco tempo fa inimmaginabile nel cuore dell’Europa dell’Est.

Volkov non è soltanto uno dei tanti sportivi ucraini che ha scelto di prendere le armi per difendere il proprio Paese sotto attacco russo. Ben raccontata su La Giornata Tipo, sito e pagina social specializzata e innamorata del basket, la sua storia personale è veramente particolare e suona quasi paradossale, se si pensa che con la nazionale dell’allora Unione sovietica, lui, assieme alla stella lituana Sarunas Marciulonis ha vinto tutto: 1 Oro Olimpico, 2 Argenti Mondiali, e 3 medaglie Europee. Mentre oggi è dai militari russi che difende la sua casa.

In piena guerra fredda nessuna squadra NBA aveva mai messo piede sul suolo sovietico: la prima volta fu nel 1988 e coinvolse la franchigia Nba degli Atlanta Hawks, invitata in tre città diverse, Tblisi, Vilnius e Mosca, per sfidare la nazionale dell’URSS in tre incontri.
Per gli amanti delle statistiche sportive la prima gara finì 85-84 per gli Hawks, che bissarono il successo per 110-105; ma l’ultimo atto al Lenin Sports Palace di Mosca andò diversamente. L’URSS non si voleva arrendere, ci teneva a vincere almeno una partita: coach Alexander Gomelsky puntava tutto su Volkov. L’Unione Sovietica tenne le redini del gioco per tutta la partita, rischiò di essere raggiunta solo nel terzo quarto, ma alla fine vinse in scioltezza 132-123 e Volkov mise a referto 24 punti.
Al di là dei risultati, quel mini-tour fu un’occasione per lo staff degli Hawks per vedere in campo il giovane talento, nato in Siberia ma di famiglia ucraina, che la stessa Atlanta aveva scelto due anni prima al draft Nba. Dovettero però passare altri tre anni prima che l'URSS concedesse il via libera agli atleti sovietici per andare negli USA; il 3 novembre 1989 fu una data storica a livello sportivo: Sasha Volkov fu il primo giocatore sovietico a giocare una partita in NBA. Pochi minuti dopo il suo ex compagno con la maglia nazionale dell’URSS, il lituano Marciulionis fu il secondo selezionato dei Golden State Warriors. Sei giorni dopo cadde il muro di Berlino.


Come riporta la Giornata Tipo «la storia di Sasha si intrecciò per una stagione anche con l'Italia: Charlie Recalcati e la Viola Reggio Calabria lo convinsero a lasciare l'NBA per approdare in Italia, dove, nonostante tanti problemi fisici, dominò dando spettacolo in tutti i palasport di Serie A.
Sasha fu sempre molto attento alle vicende politiche extra campo: nacque in Siberia ma si trasferì subito in Ucraina, la patria del suoi genitori. E l'orgoglio ucraino fu qualcosa che già sul finire degli anni '80, influenzò la sua vita e le sue scelte. Tant'è che dopo il ritiro ha fatto carriera in politica ed è diventato anche il presidente della Federazione ucraina di basket.
Oggi Sasha sta combattendo per il suo Paese. Lo ha fatto sapere alle persone che gli vogliono bene, tra cui gli amici italiani Dino Meneghin e Charlie Recalcati. Nel messaggio ha fatto anche una promessa: quando tutto sarà finito, vuole andare a vedere una partita della Viola, che oggi milita in Serie B. Speriamo di cuore di poterlo rivedere a Reggio Calabria il prima possibile».

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