mercoledì 28 ottobre 2020
L'America sceglierà tra il presidente in carica Trump e il democratico Biden. In ballo anche il Congresso e petizioni su aborto, droghe, diritti dei lavoratori e degli elettori
I candidati presidenti degli Stati Uniti, Trump e Biden

I candidati presidenti degli Stati Uniti, Trump e Biden - Reuters

COMMENTA E CONDIVIDI

La campagna elettorale è agli sgoccioli, gli accesi confronti televisivi tra i due candidati alla Casa Bianca sono finiti, c’è giusto il tempo di ribadire gli ultimi slogan e poi sarà tempo di passare la palla agli elettori americani che decreteranno chi, tra Donald Trump e Joe Biden, sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti nonché leader, di fatto, dell’Occidente. Il 74enne repubblicano in carica cerca la riconferma mentre il 77enne democratico, per otto anni vicepresidente di Barack Obama, se vincesse diventerebbe il 46esimo presidente del Paese a stelle e strisce. Il 20 gennaio 2021 avrà luogo l’insediamento ufficiale: si terrà al Campidoglio di Washington dove il neo eletto presidente giurerà sulla Bibbia. Il mandato dura quattro anni. Ma quando e come si vota, gli elettori sono chiamati alle urne per rinnovare quali istituzioni, quanti sono gli aventi diritto e in quanti hanno già votato? Di seguito ecco una guida delle elezioni presidenziali.

Quando si vota

Negli Stati Uniti le elezioni presidenziali si svolgono sempre il primo martedì di novembre. In questa tornata elettorale sarà il 3 novembre 2020. Tuttavia questo anno il cosiddetto “early voting”, ovvero il voto anticipato, ha raggiunto cifre record. Ben prima della giornata elettorale infatti, oltre 85 milioni di americani hanno già votato in appositi seggi speciali oppure per posta. Entrambe le modalità di voto sono state incoraggiate e implementate per evitare assembramenti che sarebbero stati rischiosi a causa del Covid-19. Per capire il peso del voto anticipato, basti pensare che in tutto gli aventi diritto nel Paese sono circa 240 milioni ma ad esempio nel 2016, in totale, si recarono alle urne in 128 milioni. Questa volta dunque, i votanti del 3 novembre, sommati a chi ha espresso il voto prima, potrebbero raggiungere un’affluenza complessiva di oltre 150 milioni di persone. Si tratterebbe di una mobilitazione notevole, intorno al 62%. Sarebbe la più elevata dal 1908, quando votò il 65.7% degli aventi diritto.

L’affluenza maggiore, secondo gli analisti, avvantaggerebbe i democratici e Joe Biden ma il voto anticipato, soprattutto per posta, comporta anche tempi più lunghi per scrutinare i voti. Dunque è probabile che per sapere con certezza il nome del prossimo presidente si debba aspettare fino all’8 dicembre, data ultima in alcuni Stati per certificare il voto. Il rischio è che i repubblicani, in caso di sconfitta, potrebbero contestare il risultato elettorale, chiedere il riconteggio delle schede e nei casi peggiori addirittura non riconoscere la vittoria aprendo un contenzioso fino alla Corte Suprema, che destabilizzerebbe l’assetto politico e istituzionale del Paese. Il presidente Trump non ha infatti escluso che questo scenario possa verificarsi.

Per chi si vota e secondo quali modalità

Come detto, si vota per decidere il nuovo presidente degli Stati Uniti. In corsa ci sono Trump e Biden e anche i rispettivi candidati vicepresidenti, il repubblicano Mike Pence, già in carica da quattro anni in questo ruolo e la democratica Kamala Harris. Se il “ticket”, ovvero il tandem Biden-Harris dovesse vincere, Kamala Harris diventerebbe la prima donna nella storia del Paese a ricoprire il ruolo di vicepresidente.

Il presidente e anche il vice degli Stati Uniti si eleggono però indirettamente. Gli elettori esprimono infatti il loro voto. Poi c’è il collegio elettorale, è formato da 538 grandi elettori ed è una maggioranza di questi che decide poi il presidente. I grandi elettori sono distribuiti per stato e il loro numero rispecchia la somma dei membri del Congresso, ovvero i seggi della Camera e del Senato. Quasi sempre i grandi elettori sono assegnati in blocco, ovvero l’intera somma va a chi prende più voti nello stato. Tuttavia questo meccanismo a volte ha prodotto esiti contrastanti. Nel 2016 la democratica Hillary Clinton prese più voti popolari, 3 milioni di consensi in più, ma perse la Casa Bianca perché Trump conquistò più grandi elettori. Per essere eletti ne servono infatti almeno 270 e lui ne conquistò 304 contro i 227 di Clinton. Questo succede perché 17 stati su 50 non obbligano per legge i loro grandi elettori a votare per il candidato più votato dal voto popolare. Gli swing states, ovvero gli stati in bilico su cui si gioca di fatto la corsa alla Casa Bianca sono: Florida, Pennsylvania, Michigan, Wisconsin, Arizona, North Carolina, Minnesota e Georgia.

Elezioni di Camera e Senato

Oltre al presidente si vota anche per il Congresso. Il voto riguarda infatti il rinnovo della Camera con tutti i suoi 435 seggi. Il numero di seggi per stato dipende dalla grandezza della popolazione. Per la Camera dei rappresentanti si vota ogni due anni. Nel 2018 i democratici la strapparono ai repubblicani e ora il partito dell’asinello tenta di confermare il risultato ottenuto due anni fa.

Si vota anche per rinnovare un terzo del Senato, ovvero 33 seggi sui 100 totali. Ora questa camera è controllata dai repubblicani. Il mandato dei senatori è più lunghi di quello dei colleghi della Camera. Dura infatti sei anni e ogni biennio si vota per rinnovare 1/3 della Camera Alta. Ogni stato è rappresentato da due senatori. Se il partito del presidente eletto controllasse anche le due Camere, avrebbe due anni di governo spianato con il Congresso dalla sua parte. Se vincessero i democratici, avrebbero la maggioranza nei principali organi istituzionali tranne che la Corte Suprema, a maggioranza repubblicana.

Si eleggono inoltre anche 11 governatori statali e oltre 5mila seggi tra deputati e senatori dei parlamenti locali. Al momento 26 stati sono governati da repubblicani e 24 da democratici.

Iniziative popolari

Il 3 novembre 32 stati e il Distretto di Columbia voteranno anche per alcune petizioni e iniziative popolari sui temi più disparati. Da nuove modalità di voto, ai diritti in materia di aborto e anche la legalizzazione di funghi “magici”. In tutto si tratta di almeno 124 quesiti. Tra questi ci sono anche referendum popolari.

In Massachusetts e Alaska i cittadini hanno proposto che in questi stati e nelle elezioni federali si adotti una gerarchia nelle preferenze espresse sulle schede di voto. In California una iniziativa propone di dare il diritto di voto, nelle elezioni primarie, ai 17enni che compiono la maggiore età entro la data in cui si tengono le elezioni presidenziali. Altri 18 stati e Washington D.C prevedono già questo diritto. Una ulteriore iniziativa vorrebbe anche ripristinare il diritto di voto per gli ex detenuti, ovvero i condannati che hanno scontato la loro pena.

In California c’è anche un quesito controverso sui lavoratori della Gig Economy, ovvero chi lavora a chiamata, spesso senza contratto e tutele e con una occupazione saltuaria. Esempi sono i riders delle consegne a domicilio o gli autisti di Uber. La proposta, se approvata, esonererebbe le grandi aziende dal riconoscere i collaboratori come loro dipendenti, rendendoli invece semplici appaltatori privi di assicurazione di disoccupazione.

In Oregon una proposta prevede la legalizzazione dell’uso di funghi allucinogeni per scopi terapeutici per chi ha più di 21 anni. In altri 5 stati è inoltre al vaglio l’iniziativa per legalizzare la marijuana per scopi terapeutici e ricreativi negli adulti. Già 33 stati e il Distretto di Columbia ne consentono l’uso per scopi terapeutici e 11 stati anche per scopi ricreativi.

In Colorado un quesito riguarda il divieto di abortire oltre le 22 settimane di gravidanza, eccetto per le donne in pericolo di vita. In 43 stati l’aborto è già vietato oltre un certo periodo della gestazione.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: