venerdì 4 dicembre 2020
Grazie allo studio dei dati raccolti sull'asteroide Ryugyu riusciremo a capire meglio il ruolo avuto dai minerali, dai componenti organici e dall’acqua nella formazione della Terra
La sonda Hayabusa 2 (Falco pellegrino), partita dalla stazione spaziale di Tanegashima, nella prefettura di Kagoshima in Giappone, il 3 dicembre 2014

La sonda Hayabusa 2 (Falco pellegrino), partita dalla stazione spaziale di Tanegashima, nella prefettura di Kagoshima in Giappone, il 3 dicembre 2014 - ©Akihiro Ikeshita

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Il 6 dicembre, dopo un viaggio di cinque anni e mezzo durante i quali ha percorso quasi sei miliardi di chilometri nello spazio farà ritorno sulla Terra la sonda Hayabusa 2 (Falco pellegrino). Era partita dalla stazione spaziale di Tanegashima, nella prefettura di Kagoshima, in Giappone il 3 dicembre 2014 diretta verso Ryugyu, un minuscolo asteroide di circa ottocentosettanta metri di diametro scoperto nel 1999 e che vaga a circa trecento milioni di chilometri dalla Terra.

Dopo aver raggiunto la meta il 27 giugno 2018, Hayabusa 2 ha effettuato per un anno e mezzo rilevazioni spettrometriche e ottiche del corpo celeste, compiendo anche due atterraggi sulla sua superficie (il primo il 22 febbraio e il secondo l’11 luglio 2019) per prelevare materiale da riportare sulla Terra. Mentre il primo campione è stato prelevato dallo strato superficiale, il secondo ha raccolto materiale ad un metro di profondità dopo aver fatto esplodere una carica da 4,7 kg di esplosivo plastico lanciata dalla sonda con un impattatore di rame (il rame è stato utilizzato per poter distinguere eventuali impurezze estranee che potrebbero essere presenti nel campione).

©Akihiro Ikeshita

La ripartenza verso casa è avvenuta il 13 novembre 2019 e l’enorme distanza è stata coperta in poco più di un anno grazie ai propulsori ionici che usano xeno come propellente che hanno permesso di far volare Falco pellegrino alla velocità di 30 chilometri al secondo.

La scelta di Rygyu è stata fatta perché la sua formazione risale a 4,6 miliardi di anni fa, proprio quando il sistema solare era agli albori della sua esistenza. Il materiale organico a base di carbonio che oggi compone l’asteroide è quindi lo stesso che costituiva la nube di materia primordiale. Studiarne la composizione chimica aiuterà a spiegare e dipanare l’evoluzione del nostro sistema e, soprattutto del nostro pianeta. Grazie allo studio dei dati raccolti da Hayabusa 2 riusciremo a capire meglio il ruolo avuto dai minerali, dai componenti organici e dall’acqua nella formazione della Terra, dei suoi oceani nonché studiare con più accuratezza le eventuali reazioni chimiche che potrebbero aver portato alla formazione delle prime molecole di vita.

©Akihiro Ikeshita

Il nome Ryugyu, Palazzo del drago con cui l’oggetto è stato battezzato nel 2015 è particolarmente indicativo sugli obiettivi che questa missione si è posta. Si riferisce infatti alla popolare leggenda giapponese che vede protagonista un pescatore, Urashima Taro che, dopo aver salvato una tartaruga viene da questa portato nella dimora della principessa Otohime, il palazzo Ryugyu appunto, che si trovava nel fondo dell’oceano. Nonostante gli agi in cui fu concesso di vivere, la nostalgia per la sua isola, gli amici, la famiglia indussero Urashima Taro a lasciare il palazzo per far ritorno a casa. La principessa Otohime lo congedò donandogli un tamatebako, uno scrigno che avrebbe dovuto proteggerlo dalle disgrazie che però non sarebbe mai dovuto essere aperto. Al suo arrivo il pescatore si accorse che tutti i suoi affetti e i luoghi che conosceva erano spariti perché erano trascorsi tre secoli dalla sua partenza. Ormai senza alcuno stimolo aprì il cofanetto da cui si sprigionò una nube bianca che lo avvolse ridandogli d’un colpo i trecento anni “sospesi”.

È proprio questo tamatebako che Hayabusa 2 riporterà a casa da Ryukyu dopo aver solcato il mare di spazio che ci separa dai tesori contenuti nell’asteroide.

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