sabato 10 settembre 2022
Nella scuola del villaggio vicino al confine con la Bielorussa un’équipe di animatori salesiani è accanto ai bambini che vivono le ferite dell'assedio russo e dei bombardamenti
I bambini del villaggio di Olyva rimasto occupato dai russi per due nesi

I bambini del villaggio di Olyva rimasto occupato dai russi per due nesi - Gambassi

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Capita che ogni tanto Andriy si rifugi in un angolo e scoppi a piangere. Ha otto anni e le lacrime gli rigano il volto mentre è inginocchiato sul pavimento della palestra. Intorno a lui una decina di bambini continua a cantare. «Dobbiamo solo aspettare che si tranquillizzi. Non c’è altro da fare» spiega Olek, giovane psicologo, con un passato da seminarista e un presente da animatore salesiano. Andriy è a suo modo un “ferito” della guerra in Ucraina. «Dalla finestra del seminterrato in cui la sua famiglia si era rifugiata – raccon-ta Olek – ha visto un carro armato sparare sulla casa del vicino, dall’altro lato della strada, e distruggerla. E da allora ha improvvisi attacchi di pianto».

I bambini cercano di affrontare i loro traumi con lo psicologo Olek

I bambini cercano di affrontare i loro traumi con lo psicologo Olek - Gambassi

Nel villaggio di Olyva, un pugno di case in mezzo a campi coltivati e foreste di betulle, l’occupazione russa durata due mesi non si è lasciata dietro soltanto le fattorie incendiate e rase al suolo oppure la rete per i cellulari che manca da sei mesi, ossia da quando l’unico ripetitore telefonico è stato abbattuto dai «nemici», come li chiamano qui. Ma anche il martirio dell’anima nei bambini. «C’è chi non vuole più giocare; chi ha timore di uscire di casa; chi non riesce a sopportare alcun rumore improvviso; chi fatica a parlare», riferisce Olek che tutte le settimane si fa centocinquanta chilometri per arrivare in questo angolo “dimenticato” a cinquanta chilometri dal confine con la Bielorussia, da cui sono passate le truppe del Cremlino che poi si sarebbero fermate a trenta chilometri da Kiev.

Con lui sei animatori e don Maksym Ryabukha, il sacerdote salesiano che ha scelto il paesino come laboratorio dell’«oratorio itinerante contro i traumi della guerra», dice. È un prete grecocattolico e vive nella capitale dove stava facendo nascere il primo oratorio cittadino prima che l’invasione russa lo congelasse. «Perché facciamo tutta questa strada per incontrare una manciata di ragazzi? Perché ciascuno di loro ha bisogno. E chi mai potrebbe aiutarli a superare gli choc quando si abita in un villaggio sperduto dove i soli punti di riferimento sono la scuola e uno spaccio in cui comprare qualcosa? Come insegnava don Bosco, siamo chiamati ad essere accanto ai più fragili, a chi è ai margini, per riscattarli».

Il laboratorio itinerante sui passi di Don Bosco per il sostegno ai piccoli è stato allestito nella scuola di Olyva

Il laboratorio itinerante sui passi di Don Bosco per il sostegno ai piccoli è stato allestito nella scuola di Olyva - Gambassi

Ci vogliono tre ore di auto per raggiungere Olyva da Kiev. «È stata la Provvidenza a farci arrivare fin qui – sostiene don Maksym –. Una mattina di maggio, quando la pressione militare si era allentata, siamo partiti io e alcuni volontari. Con un solo intento: mettersi a parlare con i ragazzi. Ci saremmo fermati dove li avremmo trovati. A Olyva abbiamo visto la scuola e siamo entrati. Subito la preside ci ha descritto i problemi psicologici degli alunni. E allora ci siamo offerti di incontrarli e supportarli». Il plesso ha la recinzione gialla e azzurra, i colori dell’Ucraina, anche se la struttura sono tipici sovietici.

Bastano pochi minuti alla squadra del “don” per trasformare aule e corridoi in una casa-famiglia dove si alternano giochi, scherzi, merende e rapide sedute di sostegno psicologico. «I più piccoli riescono a raccontare i disagi: dall’aver abitato sottoterra alla mancanza di cibo. Più difficile con gli adolescenti che si chiudono in se stessi. Così il dramma dell’aggressione armata diventa un tabù», afferma Cristina, braccio destro di don Ryabukha, con una laurea in scienze religiose conseguita all’Università Cattolica di Leopoli.

Nelle poche sedie accanto a Olek passano a turno i bambini. A loro vengono insegnati metodi faida- te di rilassamento o tecniche anti-paura. «Serve elaborare e raccontare i traumi. Per questo coinvolgiamo anche i genitori spiegando loro che cosa stanno affrontando i figli e come gestire le loro difficoltà». In realtà è tutta una nazione che sperimenta lo stress da bombe. «Ma qui a Olyva – sottolinea il giovane psicologo cattolico – le preoccupazioni aumentano perché si pensa che da un momento all’altro possa esserci un nuovo attacco dalla Bielorussia, come quello di fine febbraio. La strategia del terrore voluta dal Cremlino sta minando le nostre menti, oltre a distruggere le città dell’Ucraina».

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