sabato 29 dicembre 2018
Dopo l'avvio del ritiro Usa, i curdi cedono la città di Manbij minacciata dalla Turchia. Mosca appoggia la mossa
Edifici distrutti a Manbij, in una foto del marzo 2018 (Ansa)

Edifici distrutti a Manbij, in una foto del marzo 2018 (Ansa)

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Colpo di scena nel nord della Siria, dove l’annunciato ritiro delle truppe Usa da parte di Donald Trump sta creando spazi di manovra dei quali stanno cercando di approfittare tutti. E che rischiano di lasciare a bocca asciutta la Turchia di Erdogan, che da settimane ha annunciato una vasta operazione a est del fiume Eufrate, ai danni dei curdi.

Gli occhi sono puntati su Manbij, dove i curdi siriani sono pronti a cedere il centro nella città niente meno che alle armate di Bashar al-Assad, che, secondo l’agenzia di Stato siriana, Sana, sarebbero già arrivate sul posto. Ieri mattina, con un tweet, lo Ypg, l’Unità di protezione popolare, il braccio armato dei curdi siriani, ha chiesto all’esercito di Bashar al-Assad di prendere il controllo di Manbij per proteggerla «dall’invasione turca». «Invitiamo le forze del governo siriano, che sono obbligate a proteggere il Paese, la nazione e le sue frontiere, a prendere il controllo delle aree dalle quali si sono ritirate le nostre forze, in particolare Manbij, e a proteggerle contro un’invasione turca» si è letto qualche ora più tardi in una nota dell’organizzazione.

Già nei giorni scorsi, media della Mezzaluna avevano dato la notizia di mezzi militari lealisti in movimento verso le zone di Manbij e Kobane, sotto il controllo dei curdi siriani, e molto importanti per quello che riguarda le comunicazioni. Uno spostamento che avviene proprio mentre la Turchia sta ammassando truppe e carri armati al confine con la Siria, e che ha irritato considerevolmente Ankara, insieme con la dichiarazione del ministero degli Esteri russo, per le quali le terre lasciate libere dai soldati Usa dovevano tornare nelle mani dei siriani, coerentemente con il diritto internazionale. Proprio ieri mattina, il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov ha definito l’arrivo delle truppe lealiste a Manbij «un passo positivo verso la stabilizzazione della regione». Che però lascia Ankara molto scontenta. Ufficialmente, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha dichiarato che se i curdi si ritirano da Manbij, allora la Turchia non ha più ragione di intervenire oltrefrontiera. Ma quei territori rischiano di finire definitivamente nelle mani di Assad, che rappresenta ancora un nemico per il presidente turco, mentre lo Ypg, che pure potrebbe rinunciare a pretese di autonomia, rimarrebbe a esercitare la sua influenza nella regione. Difficile che Ankara accetti tutto ciò.

Oggi una delegazione di alto livello turca sarà a Mosca, dopo che da Putin è arrivato un no a una richiesta di Erdogan per un incontro diretto. All’inizio dell’anno nuovo, sempre a Mosca, ci sarà un nuovo trilaterale fra Russia, Iran e Turchia. Ma Ankara attende con impazienza anche l’arrivo del presidente americano, Donald Trump. Di certo si sa che il suo advisor, John Bolton, sarà nella capitale turca dopo Capodanno, mentre nei prossimi giorni Erdogan potrebbe sentire telefonicamente il capo della Casa Bianca per parlare della normalizzazione delle relazioni e della questione Siria. L’impressione è che la Turchia si senta in qualche modo tradita da Mosca, che pure fino a questo momento l’aveva lasciata agire con una certa libertà.

Il controllo del nord del Paese per Putin, però, è vitale per tamponare l’emergenza terroristica di matrice jihadista, campo in cui Ankara non ha mai garantito una grande affidabilità. Un ribaltamento dei piani che con l’anno nuovo potrebbe portare nuovi scenari nella regione e, da parte della Turchia, forse anche un ripensamento delle proprie alleanze.

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