venerdì 1 luglio 2022
Una chiesa rasa al suolo da un incendio doloso in West Virginia, statue imbrattate a New Orleans dopo la sentenza della Corte Suprema. La Casa Bianca: le proteste siano pacifiche
Attiviste pro aborto a Washington

Attiviste pro aborto a Washington - Reuters

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Continua negli Stati Uniti la «guerriglia legale» dei governatori locali contro la sentenza della Corte Suprema che dopo 49 anni ha bandito l’aborto a livello federale. Dopo Louisiana, Texas e Utah, la legge di recepimento del divieto, ieri, è stata sospesa in via temporanea anche da un tribunale distrettuale del Kentucky e da una corte della Florida. Sulla spallata dei giudici di Washington è tornato anche il presidente Joe Biden, in Europa per i vertici Nato e G7, che ha bollato il pronunciamento come «oltraggioso». Ma, ha promesso, «l’America non arretra». Il presidente ha poi condannato l’ondata di vandalismi contro le chiese cattoliche seguita alla sentenza della Corte Suprema.

Almeno sei chiese cattoliche sono state prese di mira con incendi dolosi e altri atti di vandalismo. "Il presidente condanna questi attacchi", ha fatto sapere il vice portavoce della Casa Bianca Andrew Bates parlando con Fox News Digital. "Ha sempre denunciato violenze, minacce e atti vandalici commessi da chiunque, a qualsiasi scopo. E ha esplicitamente ribadito questo concetto dopo la sentenza chiedendo esplicitamente che le proteste fossero pacifiche", ha sottolineato.

Tra le chiese attaccate quella di Santa Maria a New Orleans, dove una statua che rappresentava bambini mai nati è stata imbrattata di vernice rossa, quella di St. Colman in West Virginia, che è stata completamente rasa al suolo da un incendio doloso, e quella di St. John Neumann in Virginia che è stata ricoperta di graffiti di organi genitali.

La pressione con cui il partito chiede alla Casa Bianca di ripristinare la legalità dell’interruzione della gravidanza ha portato Biden a ventilare un intervento al Senato per cambiare i regolamenti sulle forme di ostruzionismo legale, da lui stesso difese nel 2005, che potrebbero far naufragare un’eventuale conversione in legge della sentenza del 1973, la Roe vs Wade, rottamata dai togati conservatori.

Protagonista del dibattito in corso è la Corte Suprema da cui, ieri, è arrivato intanto un nuovo fendente all’Amministrazione Biden con un verdetto questa volta sull’ambiente. Secondo la sentenza, che mina l’agenda sul clima dei democratici, l’Agenzia federale per l’ambiente non può fissare limiti alle emissioni delle centrali a carbone che producono il 20% dell’elettricità nazionale. «Si tratta di un’altra decisione devastante della Corte che mira a far tornare indietro il nostro Paese», ha affermato un portavoce della Casa Bianca, sottolineando che «Biden non smetterà di utilizzare i suoi poteri legali per proteggere la salute pubblica e combattere il cambiamento climatico».

Nella stessa giornata, però, i togati di One First Street, dove si è insediata Ketanji Brown Jackson, la prima afroamericana della Corte, di nomina democratica, hanno bocciato un capitolo della politica sull’immigrazione di Trump, il cosiddetto «Remain in Mexico». Ai democratici spetta riscrivere la norma che imponeva ai richiedenti asilo di restare oltreconfine mentre la loro pratica viene esaminata.

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