martedì 27 settembre 2022
I riservisti tornati sotto le armi sono già numerosi, ma rischiano di diventare solo carne da macello da spedire in Ucraina senza nemmeno un addestramento adeguato
Riservisti russi richiamati alle armi radunati in una caserma a Tara, nella regione siberiana di Omsk

Riservisti russi richiamati alle armi radunati in una caserma a Tara, nella regione siberiana di Omsk - Reuters

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Il Cremlino è sempre più determinato a portare avanti la mobilitazione parziale, ma con il passare dei giorni si evidenzia la spaccatura con il Paese reale. Andare a combattere in Ucraina viene percepito come un rischio, e pochi sono disposti a correrlo per una causa nella quale molto spesso nemmeno credono. Per molti russi, a causa della disinformazione, la situazione sul campo di battaglia rappresenta un’incognita, insieme con le condizioni in cui verranno mandati sul campo.

La conferma arriva dall’intelligence inglese: i russi radunati sono già numerosi, ma potrebbero essere spediti in prima linea come carne da macello. Sull’account Twitter del ministero della Difesa britannico si legge che «molte delle truppe arruolate non hanno alcuna esperienza militare da anni. La mancanza di addestratori e la fretta con cui la Russia ha avviato la mobilitazione suggerisce che molte delle truppe arruolate si schiereranno in prima linea con una preparazione minima pertinente».

Il ministero della Difesa, ipotizza che, in una situazione del genere, molti decideranno di disertare, preferendo rischiare di essere catturati dagli ucraini o scontare fino a 15 anni di carcere piuttosto che andare a morire. Secondo l’intelligence inglese, anche chi dovesse ricevere un addestramento iniziale prima di andare al fronte, avrà una preparazione comunque di basso livello rispetto agli eserciti occidentali, che spesso avviene all’interno del battaglione stesso e non in strutture adatte a questo scopo.

La tensione c’è e si sente. Così tanto che il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, è stato costretto ad ammettere che in qualche caso «il decreto di mobilitazione è stato violato». In Siberia, la coscrizione obbligatoria ha sfiorato i limiti della tragedia. Un uomo russo è entrato in un centro di reclutamento a Ust-Ilimsk, in provincia di Irkutsk e ha sparato al comandante militare locale dopo avergli detto che si sarebbe rifiutato di combattere nella guerra in Ucraina. Il militare ora è ricoverato in terapia intensiva. L’attentatore è stato arrestato e verrà processato per tentato omicidio.

Le file alle frontiere di persone che cercano di scappare continuano a essere chilometriche, per la gioia della polizia di confine, che, per fare passare chi è in età di arruolamento, chiede un minimo di 5.000 rubli, circa 90 euro, a persona.

Decisamente più proibitivi i prezzi degli aerei che volano alla volta di Istanbul, Erevan e Baku: i biglietti partono da un minimo di 9.000 euro. In pochi giorni, secondo Meduza e Novaya Gazeta Europe, sono 261mila i russi che hanno lasciato il loro Paese perché non vogliono andare in guerra. Il Cremlino sta monitorando la situazione ma, almeno nelle parole di Peskov, per il momento non ha ancora deciso di chiudere le frontiere, smentendo così la voce secondo la quale Mosca sigillerà i confini a partire da domani. Una misura estrema che impedirebbe la fuga di chi può essere arruolato, ma anche dare luogo a nuove proteste.

Il presidente Putin continua a combattere quella che ormai, con chiarezza, appare come la sua battaglia personale contro l’Occidente. Va avanti, adesso, anche contro il parere del suo Stato Maggiore, sempre più scettico nei confronti della mobilitazione parziale. Ieri il presidente ha sollevato il diplomatico Vladimir Chizhov dalle sue funzioni di rappresentante della Russia presso l’Unione Europea e la Comunità europea dell’energia atomica. A margine di un incontro con l’omologo bielorusso Aleksandr Lukashenko, l’unico vero alleato che gli rimane, è tornato a chiedere rispetto da parte dell’Occidente, spiegando che Mosca e Minsk «non tollereranno umiliazioni».

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