giovedì 8 agosto 2019
Quasi 700 immigrati privi di documenti regolari ma da anni negli Usa, sono stati arrestati. Meno della metà è stata rilasciata. Volontari e cittadini si sono occupati dei figli, in lacrime
Un fermo immagine del servizio della Cnn

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«Dov’è mia madre? Voglio vederla». Lo ripete fino allo sfinimento, fra i singhiozzi, nello spagnolo dolce dell’America centrale. La piccola, 11 anni, resta ferma di fronte alla fabbrica di Koch Foods di Morton, in Mississippi, dove lavora la mamma. Nemmeno gli agenti riescono a farla muovere. Come tutti i minori dello Stato, la mattina di mercoledì, la ragazzina – di cui non è stato reso noto il nome – si è recata a scuola, per l’inizio ufficiale delle lezioni. La madre, come sempre, l’ha accompagnata. Si sono salutate in fretta, la donna doveva andare al lavoro. «Ci vediamo dopo», le ha detto prima di andare. All’uscita, però, non si è presentata. La figlia l’ha attesa a lungo prima di recarsi di fronte all’impresa a chiedere notizie. «C’è stata una retata», le hanno detto i colleghi della madre. Non è stato necessario aggiungere altro. Per ogni figlio di immigrati irregolari, la “retata” è uno spettro perennemente in agguato. Un incubo ricorrente. Specie se, come nel caso dell’undicenne di Morton, sei nata negli Stati Uniti e, in quanto cittadina, “non rimpatriabile”.

«Non voglio che deportino mia mamma. Non mi separerò da lei», piangeva la ragazzina. Una scena drammatica, immortalata dal cellulare di Elizabeth Irehuete, compagna di fabbrica della madre ma, a differenza di quest’ultima, con regolare permesso. Il video, diffuso su Facebook, ha provocato forte commozione nel Mississippi scosso dalla maggior operazione “anti-indocumentados” dell’ultimo decennio. A poche ore dal viaggio di Donald Trump a El Paso dopo la strage, centinaia di agenti hanno fatto irruzione in sette fabbriche di alimenti – settore dove spesso viene impiegata manodopera illegale – di sei differenti municipi vicino a Jackson. In tutto, 680 lavoratori “indocumentados” sono stati arrestati. Tra loro la madre dell’undicenne. E quella di un'altra ragazzina, ripresa dalla Cnn che in lacrime chiede di riavere con sé il padre, di cui non ha più notizie: «Dov'è mio padre? Lui non è un criminale». Come loro, centinaia di piccoli hanno trascorso la notte in palestre improvvisata dai vicini per far fronte all’emergenza.

La maggior parte degli irregolari fermati ha figli minori, rimasti incustoditi. I vicini, così, hanno cercato di organizzarsi per non abbandonarli. A Forest, le persone hanno fatto una colletta e hanno preparato una cena comunitaria per i bambini. Ieri, si sono offerti di accompagnarli a scuola. Lo stesso hanno fatto a Canton.
La soluzione-tampone non è, però, sostenibile nel tempo. Meno della metà degli arrestati – trecento – sono stati rilasciati con il braccialetto elettronico in attesa della sentenza del giudice. Il resto è stato rinchiuso in attesa del rimpatrio. «E ora che cosa accadrà ai bambini?», si domanda il sindaco di Canton, William Truly. Il procuratore del distretto sud del Mississippi, Mike Hurst, ha sottolineato: «Diamo il benvenuto agli immigrati, ma devono obbedire alle nostre leggi, devono venire in modo legale. O se no, non dovrebbero venire», ha sottolineato il procuratore del distretto sud del Mississippi, Mike Hurst. Mentre iil direttore del servizio di immigrazione e controllo delle dogane (Ice), Matt Albence ha precisato: «Non si tratta di nuove leggi. Da sempre arrestiamo gli irregolari». È un dato di fatto. Dall’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, però, sono riprese le deportazioni di “indocumentados” senza precedenti penali. Negli ultimi mesi, inoltre, l’Amministrazione ha alzato i toni con l’approssimarsi dell’appuntamento elettorale del 2020. A luglio, il presidente aveva annunciato retate di massa in dieci grandi città. Nessuno dei sei municipi del Mississippi, però, figurava nella lista.


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