mercoledì 28 settembre 2022
Per sei volte i funzionari elettorali locali accompagnati dai soldati russi si sono presentati alla porta di casa sua con l’urna. Per sei volte lei non ha aperto, fingendo di non trovarsi lì
Un cartellone che promuove il referendum a Luhansk

Un cartellone che promuove il referendum a Luhansk - Ansa

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Per sei volte i funzionari elettorali locali accompagnati dai soldati russi si sono presentati alla porta di casa sua con l’urna per il voto. Per sei volte lei non ha aperto, fingendo di non trovarsi lì. Così hanno fatto anche la madre e i nonni che vivono con lei. Da venerdì, giorno di avvio del voto per il referendum con cui Mosca annetterà le aree occupate, circa il 15% del territorio ucraino, e fino a ieri quando le urne sono state richiuse, Olga ha fatto in modo di non farsi trovare.

Chiede di non menzionare il suo vero nome, né quello della cittadina dove vive, a una trentina di chilometri da Bakhmut, nell’oblast di Donetsk. Sa che dovrà affrontare già abbastanza problemi per non avere partecipato alla consultazione «farsa», come l’hanno definita Kiev e gli alleati occidentali, messa in piedi a tempo di record dagli occupanti russi e dai loro collaboratori locali.

Ieri mattina Olga è riuscita ad allontanare un poco la tensione che durava da venerdì. «Non girano più casa per casa per quest’ultima giornata di voto, i funzionari elettorali restano fissi nella scuola dove è allestito il seggio», ci ha spiegato via Telegram. In quell’istituto scolastico Olga ha lavorato fino a maggio, fino a quando i russi non hanno preso il controllo del centro abitato dopo aspri combattimenti. Scontri e bombardamenti sono però ancora all’ordine del giorno (ora il fuoco è ucraino), come le corse al riparo negli scantinati.

«Si vedono diverse auto fuori dalla scuola, e persone che arrivano» riferiva ieri, osservando il via vai dei votanti al seggio. «Circa metà dei residenti qui attendeva il referendum. Sperano che la Russia li protegga, forse pensano che con Mosca staranno meglio. L’atmosfera è molto tesa, perché tutti sono diventati nemici l’uno per l’altro. Nelle operazioni di voto, ovviamente, gli invasori hanno visto cosa ha scritto sulla scheda ciascun cittadino. Chi ha spuntato la casella del “No” all’annessione è stato registrato in un elenco separato. Cosa accadrà a queste persone nessuno lo sa». Resta ignoto anche il destino di chi, come lei, non si è fatto trovare a casa. «Dicono che verranno delle persone a parlarmi, non so chi né so cosa succederà».

Nei primi giorni del referendum, Olga si diceva sicura che in molti, come lei, avrebbero evitato di votare. Ieri invece ci ha riferito dei tanti che si erano lasciati convincere, non solo dall’inquietante presenza dei soldati nelle case. «A tutti sono stati profilati vantaggi, l’erogazione stabile dell’elettricità, il gas e l’acqua. E si tenga conto che siamo senza utenze da maggio».

Anche prima del 24 febbraio la popolazione qui era già prostrata, sfinita e afflitta oltremisura da otto anni di scambi a fuoco ed esplosioni, perché in quest’area si estendeva la buffer zone, la fascia cuscinetto che correva lungo linea del fronte della guerra scoppiata nel 2014.

La promessa russa di un ritorno a una vita normale qui avrà avuto sicuramente più presa che altrove. In ogni caso, Olga è rimasta ferma sulle sue posizioni. «Certo che non voto» ha concluso la conversazione, ieri pomeriggio: «Niente e nessuno può influenzare la mia opinione».

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