mercoledì 19 luglio 2017
Intervista al direttore del Centro per la protezione dell’infanzia della Gregoriana: Benedetto XVI, più di ogni altro prima ha voluto leggi severe per poter contrastare le violenze sui minori
Il coro di Ratisbona in un'immagine del 2009 (Ansa)

Il coro di Ratisbona in un'immagine del 2009 (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

Padre Hans Zollner, gesuita, direttore del Centro per la protezione dell’infanzia della Gregoriana, nonché membro della pontificia Commissione per la tutela dei minori, è particolarmente sconvolto per il Rapporto – commissionato dalla diocesi – sulle sevizie e gli abusi accaduti nel coro del duomo di Ratisbona tra il 1955 e il 1992: 547 bambini che hanno subito violenze varie e 67 abusati sessualmente.

«Sono della città di Ratisbona, conosco bene la situazione – spiega ad Avvenire – ed è da mesi che si aspettava questo rapporto e sapevo anche che sarebbe stato duro perché il numero dei bambini coinvolto è davvero orribile». «Vivo questo momento – aggiunge – con grande dolore e anche con grande senso di urgenza: dobbiamo fare tutto il possibile perché questi fatti non si ripetano più». Allo stesso tempo però padre Zollner è fiducioso: «Il passo verso la giustizia che il vescovo Rudolf Voderholzer molto coraggiosamente ha intrapreso, la sua decisione di fare in modo che tutto potesse venire alla luce del sole, indica la strada da seguire, e quindi dovrebbe essere di esempio per tutti i pastori della Chiesa».


Questa storia tocca in qualche modo due figure di primo piano: Georg Ratzinger, fratello del Papa emerito, e Gerhard Müller, cardinale, fino a poco tempo fa prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (Cdf) e già vescovo di Ratisbona...
Questo ovviamente contribuisce a dare maggiore visibilità al caso. Ma non cambia nulla nella sofferenza delle vittime rispetto a quelle di altre parti del mondo. Posso aggiungere che è stato Müller, da vescovo diocesano, a fare i primi passi per gettare luce sui fatti, anche se il rapporto lamenta che lo ha fatto troppo lentamente. Mentre riguardo a Georg Ratzinger le voci sono contrastanti: c’è chi lo giudica impulsivo e irascibile, altri lo dipingono invece come molto affabile. Certamente era un vero perfezionista nelle esecuzioni musicali. Lui comunque era direttore del coro e in questa veste ha già confessato nel 2010 di aver distribuito qualche scappellotto durante le prove: gesto giudicato intollerabile oggi, ma non all’epoca dei fatti. Mentre la stragrande maggioranza delle sevizie e degli abusi sembra si siano svolti in scuole primarie dipendenti dal coro, situate fuori Ratisbona.

Ritiene che il cardinale Müller da prefetto della Cdf sia stato indulgente nel trattare il fenomeno degli abusi?
No, al contrario. Come ho già detto, lo ripeto: lui semmai si lamentava del fatto che i processi contro i chierici abusatori prendevano troppo tempo. Il cardinale Müller ha proseguito con determinazione la linea intransigente tracciata dal cardinale Joseph Ratzinger.

I fatti di Ratisbona non rischiano di gettare un’ombra anche sulla figura di Papa Benedetto XVI e sulla sua azione di contrasto nei confronto del fenomeno degli abusi?
Assolutamente no. Chi ha fatto di più affinché la Chiesa finalmente si rendesse conto a livello mondiale del dramma degli abusi e che quindi ci fossero leggi severe e congruenti per contrastare questo fenomeno è stato proprio Joseph Ratzinger, da cardinale, quando era prefetto della Cdf, e poi da Pontefice.


Sotto l’impulso di Joseph Ratzinger – come prefetto della Cdf e come pontefice – l’azione repressiva nei confronti del fenomeno degli abusi è stato centralizzato. Prevede che in un prossimo futuro questa attività possa subire una decentralizzazione a livello di conferenze episcopali e/o diocesano?

A dire il vero in alcune realtà – penso agli Stati Uniti e ad alcuni Paesi europei – questa decentralizzazione è già in atto. Nel senso che in queste zone la Cdf chiede ai tribunali locali di seguire i casi avvenuti nel loro ambito di competenza territoriale. Non credo realistico, però, che in un prossimo futuro questo possa essere esteso a tutte le realtà locali. Sia perché non ci sono abbastanza persone formate, cioè canonisti competenti; sia perché non c’è ancora una sensibilità adeguata.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: