martedì 17 ottobre 2017
Le milizie curdo-arabe hanno avviato un'operazione di rastrellamento di eventuali jihadisti isolati. Ecco perché la conquista di Raqqa è strategica per sconfiggere il Daesh
Un combattente delle Forze democratiche siriana sventola la bandiera dei peshmerga curdi a Raqqa (Ansa)

Un combattente delle Forze democratiche siriana sventola la bandiera dei peshmerga curdi a Raqqa (Ansa)

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Le Forze democratiche siriane (Fsd), alleanza di milizie curde e arabe appoggiate dagli Usa, hanno piantato la bandiera dell'Ypg all'interno dello stadio di Raqqa, una delle ultime aree che rimanevano in mano al Daesh nella sua ex roccaforte. L'Ypg curda è la più forte delle milizie rappresentate nelle Fsd (Sdf la sigla in inglese).

Subito dopo la liberazione della città le milizie curdo-arabe hanno avviato un'operazione di rastrellamento per neutralizzare eventuali combattenti jihadisti isolati e hanno avviato un'azione di sminamento. Gli ultimi combattimenti particolarmente accesi si sono verificati nella zona dell'ospedale e in quella dello stadio, mentre particolare valore simbolico ha avuto l'occupazione del crocevia di Al-Naim, conosciuto come la "Rotanda dell'inferno", dove i jihadisti eseguivano decapitazioni e crocifissioni.

Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh) la battaglia per Raqqa è costata 3.250 morti, dei quali 1.130 civili in poco più di 4 mesi di scontri. Tra le vittime dei combattimenti e dei bombardamenti ci sono stati anche 270 bambini.

Raqqa, strategica ex roccaforte dei jihadisti in Siria

Abitata da popolazione principalmente sunnita, Raqqa è situata nella valle dell'Eufrate ed è snodo delle principali rotte stradali. Si trova a 160 chilometri a est di Aleppo, non dista molto dal confine con la Turchia e meno di 200 chilometri dal confine iracheno. La costruzione di una diga nei pressi della città di Tabqa, più a ovest, ha permesso a Raqqa di svolgere un ruolo importante per l'economia agricola della zona.

Nel marzo del 2013 Raqqa diventa il primo capoluogo di provincia a cadere nelle mani dei combattenti che si oppongono al regime di Bashar Al Assad, due anni dopo la rivolta cominciata con la Primavera araba. Gli insorti catturano l'allora governatore e sequestrano il quartier generale dei servizi segreti militari, una delle peggiori prigioni della provincia.

All'inizio del 2014 l'organizzazione jihadista nota come Isis, Is, Stato islamico o Daesh, prende il pieno controllo della città, cacciando i combattenti delle altre fazioni. Nel giugno del 2015 i combattenti curdi riescono a strappare al Daesh le prime città nella provincia, tra cui Tal Abyad e Ayn Issa. Nel frattempo il Daesh moltiplica esecuzioni, rapimenti e abusi a Raqqa, portando avanti decapitazioni, esecuzioni di massa, stupri, rapimenti e una vera e propria pulizia etnica. La sharia, la legge islamica, viene imposta con atrocità filmate e pubblicate online. Raqqa è regolarmente bersaglio di attacchi aerei da parte del regime siriano, della Russia e della coalizione internazionale guidato dagli Stati Uniti.

Il 5 novembre 2016, le Forze democratiche siriane lanciano l'offensiva "collera dell'Eufrate" per cacciare il Daesh con il supporto aereo della coalizione internazionale e strategico sul terreno. Il 10 maggio 2017 i combattenti siriani prendono Tabqa e la sua diga, a 50 chilometri a ovest di Raqqa. Il 6 giugno entrano nell'ex capitale del Daesh. Il primo settembre l'alleanza prende il controllo della città vecchia. Il 20 settembre riesce a conquistare il novanta per cento del territorio. Oggi la battaglia finale.

La battaglia più dura. I dubbi sulla sorte dei jihadisti

Quella di ieri a Raqqa è stata la «battaglia più dura» contro i jihadisti del Daesh. Lo aveva annunciato Jihan Sheikh Ahmed, portavoce dell'operazione lanciata a inizio giugno dalle Forze democratiche siriane (Fsd) per riconquistare quella che era la capitale del Califfato islamico. Questa battaglia vuole «mettere fine alla presenza del Daesh, questo significa che la scelta è tra arrendersi o morire», ha aggiunto Jihan Sheikh Ahmed. Si stima fossero circa 300 i jihadisti stranieri ancora presenti nella città siriana dopo che domenica l'alleanza arabo-curda ha annunciato che l'offensiva era nella «fase finale».

Non è chiaro quanti fossero i miliziani trincerati in un'area pari al 10 per cento della città: secondo le Forze democratiche siriane 250-300 cercano di ripararsi tra le macerie del centro. O forse sono solo poche decine, secondo altre fonti, quelli che domenica hanno lasciato la città.

Ormai caduto il bastione del Califfato, la priorità, specialmente per i governi europei, è capire chi tra i jihadisti abbia potuto lasciare la città sabato notte insieme a circa 3.000 civili, in base a un accordo tra le Sdf e il Daesh mediato dai capi dei clan tribali locali. Un'intesa velatamente criticata dalla Coalizione internazionale a guida americana, che però non vi si è opposta, per ridurre al minimo possibile le vittime tra la popolazione civile, già decimata nei mesi scorsi dai combattimenti e i bombardamenti massicci della stessa Coalizione.

Le Sdf assicurano che i combattenti evacuati sono solo siriani, e quindi tra loro non vi sarebbero “foreign fighters”, come sosterrebbero in particolare i servizi segreti francesi convinti che tra i jihadisti fino a pochi giorni fa rifugiati a Raqqa ci sia uno degli organizzatori degli attentati di Parigi. Si tratterebbe di un cittadino francese o belga di origini nordafricane. «Gli elementi del Daesh che sono ancora presenti stanno resistendo», ha dichiarato il portavoce delle Sfd, precisando che le aree dove si sono ritirati «sono zone fortificate, dove si trovano tanti campi minati».

Missile di Damasco contro aerei israeliani

Dopo che un missile lanciato ieri mattina dalla Difesa aerea siriana contro aerei israeliani, Gerusalemme ieri ha risposto, colpendo una batteria aerea nei pressi di Damasco. Lo ha dichiarato il portavoce militare israeliano. Poco prima - secondo la Difesa israeliana - un missile del tipo SA5 era stato lanciato contro aerei da ricognizione israeliani che non sono stati colpiti. Il portavoce militare ha detto che Israele ritiene responsabile «il regime siriano per ogni colpo che parte dal suo territorio. Consideriamo questo incidente come una chiara provocazione che non consentiamo». Secondo i media Israele ha informato i russi dell'attacco dopo il lancio del razzo da parte dell'antiaerea siriana.

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