giovedì 10 gennaio 2019
Con un’economia che mostra segni di rallentamento e con una Camera in mano ai democratici, il presidente vuole portare a casa una vittoria-chiave da vendere all'elettorato
Filo spinato sulla spiaggia di San Diego, in California, al confine con la città messicana di Tijuana (Ansa)

Filo spinato sulla spiaggia di San Diego, in California, al confine con la città messicana di Tijuana (Ansa)

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Sempre più un uomo solo al comando. Sempre più un uomo con le spalle al muro. Abituato al costante pubblico elogio da parte del suo entourage, Donald Trump fa i conti con una squadra che nel momento della verità, sulla cruciale questione immigrazione, va scansandosi, lasciando il capo a un solitario battage mediatico. Con un’economia che mostra segni evidenti di rallentamento e con un Congresso che vede ora i democratici in maggioranza alla Camere, Trump sa di dover portare a casa il risultato-simbolo almeno sul dossier del muro al confine, in un anno che farà da trampolino di lancio per la campagna per la rielezione alla presidenza del 2020.

È alla Casa Bianca che l’opinione pubblica americana sta imputando lo stallo sullo “shutdown”, la serrata delle attività governative che costa ogni giorno da tre settimane lo stipendio a 800mila persone e che Trump vede come moneta di scambio per ottenere i 5,6 miliardi di dollari necessari a costruire il muro al confine. I democratici non hanno nessuna urgenza di cambiare tattica e accusano il presidente di usare i dipendenti pubblici come leva per i suoi obiettivi politici. La risposta di Trump è nell’alzare i toni: sa che fa presa parlare di «crisi di sicurezza», di un’equazione tra immigrazione e crimine. E quasi metà degli elettori americani, ha sottolineato ancora ieri un’indagine di Politico/Morning Consult, è davvero convinta che alle frontiere degli Stati Uniti ci sia un’emergenza, una vera e propria crisi.

Una vittoria sul fronte muro tornerebbe a far brillare il marchio Trump. Il presidente sta ancora faticando a trovare il nuovo capo del Pentagono dopo l’addio di Jim Mattis, che ha lasciato per disaccordi su questioni chiave come il ritiro dalla Siria. Per quella che è una delle poltrone più influenti dell’Amministrazione, Trump ha già ricevuto due no. E presto potrebbe perdere di nuovo il suo capo dello staff: Mick Mulvaney, nominato di recente, sembra già orientato a lasciare.

Una boccata d’ossigeno è arrivata per Trump dalla crescita dei posti di lavoro negli Usa: ne sono stati creati 312mila a dicembre e sono saliti anche i salari. Ma il rallentamento evidente della produzione industriale, la crisi dei mercati finanziari e la guerra dei dazi con la Cina aprono scenari economici preoccupanti per il nuovo anno. Viste le prospettive, la Fed, che era pronta ad alzare tre volte i tassi nel 2019, potrebbe lasciarli invariati, facendo felice Trump. Che però vuole qualcosa di ancora più tangibile, più visibile, più filmabile da vendere al grande pubblico. E un muro di cinque metri, quello sì che è perfetto.

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