domenica 5 febbraio 2017
Il bersaglio principale del presidente Usa sembra la Germania. Ma l'obiettivo vero è l'Unione europea. E Mosca ha le stesse mire
Trump e Putin hanno lo stesso obiettivo: indebolire l'Unione europea

Trump e Putin hanno lo stesso obiettivo: indebolire l'Unione europea

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Qualcuno a Mosca già lo chiama familiarmente «amerikansky drug», l’amico americano. E poco c’entra con il personaggio creato da Patricia Highsmith e portato sugli schermi da Wim Wenders, ma è bastato poco perché i più affilati fra gli scrutatori della neonata amministrazione Trump si accorgessero che da qualche tempo Mosca sembra disporre di un alleato insolitamente prezioso alla Casa Bianca.

E quell’alleato – a quanto finora appare – è proprio lui, Donald Trump. Basta scorrere l’elenco delle quotidiane bordate del presidente, che nello spazio di una sola settimana è riuscito a puntare il dito contro Big Pharma per i prezzi dei medicinali giudicati troppo elevati, a minacciare di applicare un dazio d’ingresso del 35% sulle automobili tedesche importate in America e soprattutto a far dire al neodirettore del National Trade Council Peter Navarro che «la Germania sfrutta gli altri Paesi Ue e gli Usa con un euro che in realtà non è altro che un Deutsche Mark sottostimato e sotto mentite spoglie».

Il bersaglio principale, è la Germania, ma l’obbiettivo vero è l’Europa intera. Non stupiamoci dunque se il fantasma di «The Donald» aleggiava minaccioso sul vertice informale dei capi di Stato e di governo che si è chiuso ieri a Malta.

Non stupiamoci, perché anche a Bruxelles hanno cominciato a intravvedere i lineamenti del Great Game di Trump. Al punto da inviare un segnale assai poco equivocabile per bocca dei tre capigruppo delle maggiori famiglie politiche, Weber, Pittella e Verhofstadt: quello del «non-gradimento » alla nomina di Ted Malloch ad ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Unione Europea. Malloch – un uomo d’affari marcatamente euroscettico che ha profetizzato il crollo dell’euro entro diciotto mesi – non ha fatto mistero del ruolo che potrebbe svolgere in Europa: «Nella mia precedente carriera diplomatica – ha dichiarato alla Bbc – ho aiutato ad abbattere l’Unione Sovietica. Ora sembra che ci sia un’altra Unione che necessita di una scossa…».

Pur colpita al cuore, Angela Merkel ha signorilmente glissato: «Da sempre ci impegniamo per stare sul mercato mondiale con prodotti competitivi e nell’ambito di una concorrenza equa». Se da un lato è evidente che l’Europa nonostante i suoi ingranaggi arrugginiti e le sue contraddizioni fa paura a Trump, dall’altro non occorrono particolari sottigliezze per decifrare le sue intenzioni: la Casa Bianca vuole indebolire l’Unione Europea.

Questioni di bottega, essenzialmente: nel corso dell’amministrazione Obama il Pil americano è cresciuto complessivamente dell’11% e la disoccupazione è scesa, in compenso è cresciuta la diseguaglianza e i redditi delle famiglie sono rimasti al palo. E se nel 2016 la Germania ha scavalcato la Cina tornando ad essere con il suo surplus di 297 miliardi di dollari il Paese col più elevato avanzo delle partite correnti al mondo, quasi specularmente gli Stati Uniti hanno patito il più alto deficit mondiale delle partite correnti con 478 miliardi di dollari. Non bastasse, per la prima volta in cinque anni la Toyota ha dovuto cedere alla Volkswagen lo scettro di prima casa automobilistica al mondo.

Ma il protezionismo incombente, la stretta sulle tariffe, le minacce al dumping nei Paesi a basso costo di manodopera non bastano a spiegare la strategia di Trump. Perché Trump non è il solo a voler indebolire l’Europa, ma anzi, è in buona compagnia: quella di Vladimir Putin, anch’esso interessato ad avere ai propri confini un’Europa fragile, indebolita e divisa.

Nella conversazione telefonica avuta con Trump (cui è repentinamente seguito un primo alleggerimento delle sanzioni americane alla Russia) Putin si è detto d’accordo «sulla necessità di rilanciare il commercio e la cooperazione economica fra i due Paesi».

Dietro le parole, ben più robuste ambizioni geopolitiche. Quelle – fin troppo scoperte – di rispartirsi il mondo in reciproche zone d’influenza. A una precisa condizione: che l’Europa sostanzialmente scompaia come soggetto politico e rimanga un ricco ma vulnerabile mercato. Con il fondamentale aiuto dell’«amico americano».

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