lunedì 14 gennaio 2019
«L'Arabia Saudita è un Paese musulmano, ma non ha nessuna pietà»: è l'appello lanciato da un profugo Rohingya, all'aeroporto di Gedda, in Arabia mentre veniva respinto in Bangladesh
«Decine di profughi Rohingya deportati in Bangladesh»: video accusa l'Arabia
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Dozzine di rifugiati Rohingya sono stati deportati dall'Arabia Saudita in Bangladesh, nonostante provengano dal vicino Myanmar. E una volta rientrati forzatamente a Dacca sono stati poi arrestati per essersi procurati documenti falsi per sopravvivere e fuggire dalle persecuzioni dell'esercito birmano.

La politica dei respingimenti del governo di Riad è stata denunciata attraverso un video girato da alcuni profughi, prima di vedersi ritirare i telefoni, e inviato a Areeb Ullah, giornalista di Middle Est Eye che ha cercato di porre all'attenzione internazionale sulle violenze e le discriminazioni che subiscono i Rohingya – così sono chiamati a Myanmar i cittadini di fede islamica, anche in Arabia Saudita dove vengono detenuti in campi di prigionia.


Le persone, che si vedono nel video girato in aeroporto, vengono obbligate a restare in fila e hanno le manette ai polsi: in attesa di essere forzatamente costrette a rientrare con un volo in Bangladesh che pure non è il loro Paese di origine.

«L'Arabia Saudita è un Paese musulmano, ma non ha nessuna pietà»: sono le parole drammatiche che si sentono nel video girato di nascosto dal profugo Rohingya, all'aeroporto di Gedda, in Arabia Saudita, mentre le autorità locali rimpatriavano nel vicino Bangladesh decine di profughi come lui, provenienti dal Myanmar. «Quando sei qui ti vogliono solo sfruttare per riempirsi le tasche» ha continuato l'uomo, che riprende quanto accade di nascosto, inquadrando i suoi connazionali ammanettati in aeroporto come fossero dei criminali.

«Sono qui per farvi sapere che, dopo essere stato in un centro di detenzione saudita per cinque anni in condizioni terribili, ora mi vogliono rispedire in Bangladesh. Le nostre autorità e i rappresentanti in Arabia Saudita non hanno fatto nulla per impedirlo», aggiunge un altro profugo, ripreso nel video mentre è ammanettato. «Sono venuti nelle nostre celle nel cuore della notte, dicendoci di fare le valigie e prepararci per il Bangladesh», anche se il «Bangladesh non è il nostro Paese».

I detenuti del centro di detenzione Shumaisi, a Gedda in Arabia Saudita, hanno raccontato di essere stati sorpresi nella notte e circondati dalle autorità saudite che hanno intimato loro di prepararsi all'espulsione e li hanno poi trasportati nello scalo aeroportuale. «Sto girando questo video in aeroporto», ha continuato l'autore, «dopo che nel 2012 siamo scampati a un genocidio, dopo aver ottenuto un altro passaporto per salvarci la vita, oggi l'Arabia Saudita, un Paese musulmano, ci dice di tornarcene da dove siamo venuti. Non aiuto di nessuno, per questo siamo venuti qui, e oggi dopo averci torturato vogliono cacciarci», rispendendoli in un Paese, il Bangladesh, che non è nemmeno il loro Paese di provenienza.
Una volta atterrati all'aeroporto di Dhaka, in Bangladesh tredici di loro sono stati arrestati dalla polizia locale con l'accusa di aver utilizzato documenti falsi per entrare in Arabia saudita: che però paradossalmente, come ricorda Nay San Lwin della Free Rohingya Coalition - «è di fatto l'unico modo che hanno per scampare al genocidio». Nay San ha spiegato che entrando in Arabia Saudita le loro impronte digitali erano state registrate come "indiane, pakistane, bengalesi, nepalesi" poiché l'identità Rohingya non è accettata. "Secondo la legge saudita, dal momento che sono registrati come nazionalità diversa, non è possibile fare nulla in termini di assistenza legale", ha detto Nay San.

Oltre 700mila Rohingya sono fuggiti dal loro Paese nel 2017 di fronte alle persecuzioni attuate dall’esercito birmano nello Stato di Rakhine. «Cosa faremo quando arriveremo in Bangladesh? Non abbiamo altra scelta che suicidarci», ha aggiunto un altro dei profughi Rohingya a Middle East Eye Abdul Ghulam, rinchiuso per cinque anni nel centro di detenzione di Shumaisi, a Gedda in Arabia Saudita.

Molti Rohingya sono arrivati ​​in Arabia Saudita con passaporti e documenti falsi di diversi paesi dell’Asia meridionale – tra cui Bangladesh, Bhutan, India, Nepal e Pakistan – per sfuggire alle persecuzioni a Myanmar. Arrestati negli ultimi mesi sono stati successivamente portati al centro di detenzione di Shumaisi a Gedda – in cui si trovano 32mila lavoratori privi di documenti provenienti da tutto il mondo – dove hanno confessato il loro ingresso illegale nel Paese. Tra i detenuti ci sono anche donne e bambini.

Come spiegano sull'agenzia di stampa Nena News «Riad vuole liberarsi dei profughi. Riconoscendoli come giunti dal Bangladesh e non da Myanmar conferma di non voler concedere loro lo status di rifugiato e l’asilo politico. L’Arabia saudita d'altronde non ha mai aderito alla convenzione internazionale sui rifugiati del 1951. In passato però aveva accolto alcuni Rohingya, che poi hanno ottenuto la cittadinanza saudita.

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