sabato 20 febbraio 2021
L'esperta del Sid: intervenire subito sul debito dei Paesi poveri, sulle regole del commercio mondiale e sulla questione di genere
Nicoletta Dentico

Nicoletta Dentico - Foto Sid

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La crisi del Covid ha reso evidente il dramma dei lavoratori informali, ma le disuguaglianze aumentavano anche prima. Un dato strutturale, ma non percepito con la stessa drammaticità.

Nicoletta Dentico, dirigente di Society for International development, adesso si teme un impoverimento generalizzato. Ma perché solo ora si ha paura di questa forbice che si allarga?

Il Covid ha fatto esplodere le disuguaglianze all’attenzione generale, ma sono anni che all’Onu, in molti circuiti internazionali, anche politici si parla di disuguaglianze. La questione è che si pensa di risolverle con rimedi tecnici, buone pratiche, piccoli escamotage finanziari ma non si riescono a imporre nell’agenda politica internazionale i grandi nodi che producono le diseguaglianze: il debito dei Paesi poveri, le regole del commercio internazionale, la diseguaglianza di genere.

Nel suo libro 'Ricchi e buoni?' (Emi, 2020) mette in guardia contro le «trame oscure del filantrocapitalismo ». Perché queste 'charity' non funzionano?

Quella filantropia, analizzata nel mio libro, è una delle facce della diseguaglianza, soprattutto in un tempo con tendenze opposte esasperate: c’è una accumulazione di risorse finanziarie, economiche e quindi legali e politiche che non si è vista neanche nel Medio Evo. Oggi la famosa élite dell’1% ritiene la gran parte delle risorse monetarie e delle conoscenza rispetto alla grandissima parte del mondo. Questa è la patologia del nostro tempo. Chi sono i filantropi? Quelli dell’1% che sanno ben navigare in questo tempo della disuguaglianza e da quella posizione di vertice si ritengono più capaci e titolati moralmente a monopolizzare anche l’“agenda del bene”. Vi è trama di paternalismo che mira al contenimento del disagio sociale. Il loro potere sta penetrando le leve del governo del mondo creando un vulnus alla democrazia, ai processi nati dal basso.

Le diseguaglianza dal 2008 a oggi, sono aumentate, anche in Occidente dove «il ceto medio è stato spazzato via». Non si può non ricordare il grido di Francesco nella Evangelii Gaudium: «Questa economia uccide ». Come intervenire?

La frase di papa Francesco è la più potente denuncia, straordinaria nella sua semplicità, di come i piccoli escamotage del terzo settore non funzionano. Questa economia «mata», è un richiamo anche al terzo settore su come abbia, consapevolmente o meno, partecipato alla privatizzazione della gestione dei diritti e al depotenziamento della funzione pubblica, del ruolo della democrazia che, per quanto imper-fetta, è l’unico modo di garantire processi di cambiamento. Cosa fare? Avremo, credo, un ulteriore impoverimento della sfera politica che continuerà finché non metteremo mano al fatto che i capitali circolano nel mondo fuori dallo spazio e dal tempo e posso investire sia sulle sorti positive che negative di un Paese: si pensi alla crisi finanziaria del 2008. Queste dinamiche vanno fermate perché il potere finanziario delimita la capacità di movimento dei governi. L’altra questione è il disastro del debito dei Paesi poveri: una questione presa molto sul serio da Giovanni Paolo II, nel Giubileo del 2000. Ora va ripreso perché non esiste sviluppo sostenibile se non si eliminano le catene del debito alle società più povere. Poi ci sono le politiche fiscali e il ruolo delle multinazionali che non può essere contenuto dalla responsabilità sociale di impresa, una sorta di «green whashing», ma da una responsabilità legale delle imprese sui diritti umani. E poi servono politiche di giustizia che mettano al centro scuola, ricerca, arte, cultura. Infine, noi cittadini, dobbiamo scegliere dove collocare i nostri risparmi e saper che il cambiamento climatico lo determiniamo in base a quello che ogni giorno mettiamo nel frigorifero.

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