venerdì 8 gennaio 2021
I parenti in Polonia si oppongono al «sì» concesso dalla moglie per sospendere ventilazione e alimentazione. Ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’uomo: il governo chiede il rimpatrio dell’uomo
La Corte di protezione londinese è chiamata ad esprimersi sul caso

La Corte di protezione londinese è chiamata ad esprimersi sul caso

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Ancora pochi giorni o, addirittura, poche ore. Tanto bisognerà aspettare per capire se un uomo di mezza età, polacco, in stato vegetativo all’ospedale universitario di Plymonth, in Inghilterra, «vivrà o morirà di fame e di sete» come chiede la Sanità e la giustizia britannica e come gli avvocati non vogliono finisca i suoi giorni che trascorre attac- cato anche a un respiratore. Il distacco del sondino sarebbe dovuto avvenire ieri alle 17, ma la procedura è stata sospesa in attesa che sul caso si pronunci la Corte Europea dei diritti dell’uomo. La battaglia legale si combatte tra la moglie dell’uomo, favorevole all’interruzione dei trattamenti vitali, e, sul fronte opposto, dalla sua famiglia di origine in Polonia. A interpellare i magistrati europei è infatti stato il governo di Varsavia, determinato a dare battaglia a quello britannico per riportare a casa il cittadino. L’identità dell’uomo non può essere rilevata. R.S., queste sono le iniziali del suo nome, è arrivato dalla Polonia nel West Country inglese diversi anni, si è sposato ed è diventato padre di tre figli. Lo scorso 6 novembre è finito in coma a causa di un attacco cardiaco che lo ha lasciato senza ossigeno per 45 minuti. A neppure un mese dall’incidente, l’ospedale di Plymonth, dove è stato ricoverato, ha disposto «nel suo miglior interesse» la sospensione di ventilazione, alimentazione e idratazione considerato che, «nella migliore delle ipotesi, l’uomo potrebbe progredire al massimo a un livello di minima coscienza».

Accettata da moglie e figli, la decisione è stata contrastata dai parenti polacchi residenti nel Regno Unito, sorella e nipote, e dalla famiglia di origine, a Varsavia, determinati a dimostrare che la procedura non è in linea con i principi della religione cattolica in cui l’uomo ha sempre creduto. Il caso è finito alla Court of Protection, il tribunale britannico chiamato a dirimere le controversie relative ai cittadini incapaci di intendere e volere, che ha cercato di ricostruire le presunte volontà del paziente. La decisione di procedere con la sospensione dei trattamenti ha privilegiato le ragioni della moglie, la persona che, a detta dei giudici, «lo ha conosciuto meglio negli ultimi anni».

Come stabilito, il sondino per l’alimentazione e l’idratazione è stato staccato il 24 dicembre, alla vigilia di Natale, ma l’intervento del governo polacco ha riaperto il fronte. Il ministro degli Esteri polacco, Zbignew Rau, ha scritto una lettera al ministro degli Esteri britannico, Dominic Raab, chiedendo non solo il «ripristino urgente dei trattamenti vitali » ma anche il rimpatrio del paziente. Varsavia si è detta pronta a trasferire R.S. nell’Ospedale Clinico Centrale del Ministero dell’Interno per mezzo del soccorso aereo. La Polonia, inoltre, ha inviato una richiesta urgente alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per segnalare che il «diritto alla vita di R.S. è stato violato». L’intervento del governo polacco ha costretto Londra a riaccendere i macchinari e a tenere in sospeso la decisione finale. La vicenda riporta alla memoria i discussi casi di Charlie Gard e Alfie Evans, bambini disabili morti proprio per sospensione delle cure. L’associazione Christian Concern considera il caso come l’ennesimo tentativo di introdurre l’eutanasia nel Regno Unito «dalla porta sul retro». Nodo che, alla luce della Brexit, acuisce il dibattito sul diritto alla libertà di cura e sul trattamento dei malati che vivono oltremanica.

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