sabato 14 dicembre 2019
Almeno 2mila mercenari, legati al Cremlino, combattono nel Sahel dove Parigi è sempre più in crisi. Ci sono in gioco interessi miliardari legati soprattutto alle risorse energetiche
Il presidente Emmanuel Macron su un elicottero nel nord del Mali durante una visita alle truppe francesi a Gao

Il presidente Emmanuel Macron su un elicottero nel nord del Mali durante una visita alle truppe francesi a Gao

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È una guerra dietro le quinte, combattuta a colpi di forze speciali e mercenari. In palio c’è la supremazia geopolitica in quel che resta dell’ex impero coloniale francese d’Africa. E l’ennesimo esempio della «terza colonizzazione» che in continente sta vivendo.

Gli ultimi arrivati sono i russi, che stanno giocando la loro partita con operazioni ibride, controffensive mediatiche e pseudo-guerrieri al soldo del Cremlino. Piano piano, Mosca sta dilagando. Ha già spedito duemila irregolari in Africa, scalzando i francesi in Centrafrica e in altre marche di frontiera continentali. Putin è il nuovo sponsor forte della Cirenaica libica. Ha messo fuori gioco le potenze occidentali, al punto che la partita libica sembra ormai una faccenda a due fra Russia e Turchia. Quasi una riedizione dello spartito siriano.

Il Cremlino ha sparigliato le carte, inviando un migliaio di mercenari della compagnia privata Wagner a supportare l’offensiva di Haftar a Tripoli. Ora fa breccia al confine, in Mali, insinuandosi nel Sahel in subbuglio, un tempo riserva di caccia esclusiva francese.
Con i suoi confini smisurati, estesi per 4mila chilometri in longitudine e mille in latitudine, il nuovo teatro di operazioni è quasi interamente desertico. I gruppi terroristici che lo infestano, si fanno beffe delle frontiere internazionali. Così i francesi e i russi ignorano a loro volta i tracciati ufficiali. Considerano il Mali, il Niger e il Ciad un unico teatro, con l’appendice libica a fare da trampolino di lancio. I francesi conoscono l’insieme a menadito, avendolo battuto in lungo e in largo nel periodo coloniale. Hanno ancora l’appoggio dei rispettivi governi, coinvolti nella lotta antiterroristica, e propensi a fornire un battaglione ciascuno alla forza congiunta del G5 Sahel, che include anche Mauritania e Burkina Faso. Un complesso di forze molto deficitario per logistica, intelligence e supporto aereo. Qualcosa che conferma appieno la fragilità francese.

Parigi sta imbastendo con fantasia creativa cooperazioni miste per compensare un deficit di mezzi evidente. Ecco perché il teatro sfugge per lo più al suo controllo e si presta al gioco di un nemico sfuggente e di una potenza scaltra come la Russia. I jihadisti stanno progressivamente rialzando la testa. Le popolazioni locali sono stanche e i governanti perdono gradualmente la pazienza. Dopo il sanguinosissimo attacco del Daesh in Niger, a inizio settimana, il presidente Macron è stato costretto a rinviare il vertice a Pau in programma per lunedì 16 dicembre. Avrebbe dovuto incontrarvi i capi del G5 Sahel, per riprogrammare l’operazione Barkhane e saggiare il consenso dei partner al proseguimento dell’intervento francese in loco. Parigi perde colpi e influenza. Ha dovuto ammettere che nella regione delle tre frontiere, fra il Mali, il Niger, e il Ciad la bilancia pende ormai a favore dei jihadisti. È quasi un’ammissione d’impotenza.


Gli attacchi dei jihadisti del Daesh agli alleati locali della Francia sono sempre più sanguinosi. Bamako ammette candidamente «l’arrivo di militari russi per aiutare
le forze armate»

Un passaggio di testimone. Mentre otto Paesi europei hanno offerto aiuto alla Francia nella futura operazione di forze speciali Takuba, i russi stanno già prendendo il sopravvento. A fine novembre, nell’ennesima seduta parlamentare inconcludente, una notizia è passata quasi inosservata. Eppure il ministro maliano della Difesa, generale Ibrahim Dahirou Dembele, aveva annunciato «l’arrivo in dicembre di militari russi nel Paese, per supportare tecnicamente le forze armate locali», aiutare nella manutenzione degli elicotteri d’attacco consegnati da Mosca nell’ottobre 2017 e addestrare i piloti maliani.

Inutile dire che il Cremlino ha colto la palla al balzo. Brama espandersi anche nel Sahel, a discapito dei francesi. Fanno gola le risorse economiche e il bacino di voti all’Onu. La scorsa settimana ha spedito a Bamako, in Mali, una ventina di consiglieri militari. Apparentemente forze speciali, tecnici e logisti. Invero si trattava di uomini della società militare privata Wagner, i mercenari che fanno il “lavoro sporco” per il Cremlino. Putin ne sta usufruendo in tutte le sue guerre ibride, in Siria, nel Donbass ucraino e ora in Africa, spesso al fianco delle forze speciali e dei vassalli locali.


Mosca ha sparigliato le carte, inviando mercenari a supportare l’offensiva di Haftar su Tripoli. E ora fa breccia al confine meridionale, insinuandosi nella zona in subbuglio e minacciata dai terroristi
Ci sono in gioco interessi miliardari legati soprattutto alle risorse energetiche

Sarebbero già in migliaia a operare in Centrafrica (200), Libia, (1.200) Sudan (100), Madagascar (50) e nel nord del Mozambico (100).
Secondo due fonti dei servizi d’intelligence ovest-africani citate dalla France Presse, un piccolo team della compagnia Wagner avrebbe già fatto capolino a Bamako qualche settimana fa. Il comandante della società, colonnello Dmitrij Utkin, è segnalato in questi giorni in tour in Mali. Giusto il tempo per sondare il terreno e fare da precursore all'arrivo del grosso delle forze, deciso nell’ultimo vertice Russia-Africa di Sochi. Mosca dispone di mezzi d’influenza in loco, come il canale televisivo RT in lingua francese o l’organizzazione «Patrioti del Mali», apertamente antifrancese. Un modus operandi che ricorda da vicino il Centrafrica, l’ultima preda irretita nella tela africana del Cremlino.


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