mercoledì 31 maggio 2017
I terroristi stanno provando a riprendersi la scena, proprio quando la Nato, su pressione di Trump, ha deciso di aderire formalmente alla coalizione a guida americana contro il Daesh
Offensiva islamista, gli Usa presto invieranno 5mila uomini in Afghanistan
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È un’offensiva in grande stile quella lanciata dalle milizie islamiste in Afghanistan. Già nei giorni scorsi c’erano stati attacchi dei taleban con molte vittime a Khost e a Kandahar, ma l’attentato di oggi con 90 morti a Kabul rivendicato dal Daesh è un passo ulteriore: i terroristi stanno provando a riprendersi la scena, proprio quando la Nato, su pressione di Donald Trump, ha deciso di aderire formalmente alla coalizione a guida americana contro il Daesh. Lo scorso 28 aprile i taleban - che hanno smentito il loro coinvolgimento nell'attacco di oggi - avevano annunciato l'avvio dell'annuale offensiva di primavera ribattezzandola "operazione Mansouri", dal nome dell'ex leader degli insorti ucciso dal raid di un drone Usa nel maggio del 2016.


Non sono quindi valsi a nulla gli appelli dell'Onu e dello stesso presidente Ashraf Ghani che hanno invitato le parti ad una tregua e ad utilizzare il Ramadan per costruire ponti fra le parti in conflitto per porre fine alla sofferenza della popolazione afghana, che da anni vive in un clima di guerra senza speranza. E che questo periodo sacro per gli islamici non sarebbe trascorso tranquillamente lo aveva ribadito alla vigilia anche il Daesh. Infatti, mentre i Grandi del G7 firmavano a Taormina un documento di impegno a lottare contro il terrorismo, il gruppo islamista guidato dal “Califfo” Abu Bakr al-Baghadi diffondeva un video-messaggio in cui lanciava un appello ai suoi seguaci a sollevarsi per una "guerra totale" proprio durante il Ramadan.


Nei giorni scorsi il governo afghano ha invitato i rappresentanti di 21 Paesi del mondo ad un incontro denominato “Processo di Kabul”, che si svolgerà il 6 giugno nella capitale per tentare di mettere fine al conflitto in corso. "Qualsiasi sforzo per raggiungere la pace in Afghanistan deve essere per iniziativa, guida e gestione del governo afghano", ha chiarito il vice portavoce del governo, Javid Faisal. Ma le violenze di questi giorni lasciano pochi spazi alla speranza. Fra i Paesi invitati vi sono Arabia Saudita, Iran, Pakistan, India, Cina, Stati Uniti. Prevista inoltre la partecipazione di rappresentanti dell'Onu e dell'Unione Europea. Finora i ripetuti appelli del governo afghano ai taleban di unirsi ad un processo di pace sono caduti nel vuoto. Di recente anche la Russia ha riunito a Mosca una serie di Paesi della regione con l'obiettivo di studiare un nuovo approccio nei confronti dei militanti antigovernativi per mettere fine al conflitto.


Da parte sua il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha chiarito nei giorni scorsi che in Afghanistan l’Alleanza ha avuto in passato un ruolo di combattimento, “ma ora facciamo addestramento e consulenza". Insomma, stabilizzare Paesi con questo tipo di missioni "è meglio che avere truppe" sul terreno. La Nato, insomma, non pensa di tornare a combattere in Afghanistan, dove al momento ci sono 13mila militari delle forze internazionali, 8.400 dei quali americani. Trump sta valutando di inviarne altre 5mila, tra cui anche alcuni appartenenti alle forze speciali. Da quando la gran parte delle truppe internazionali si è ritirata alla fine del 2014, i taleban hanno riguadagnato terreno e ora controllano o sono presenti in circa il 40% del Paese, secondo le stime Usa, mentre il governo del presidente Ashraf Ghani ha in mano tutti i centri provinciali.


Il conflitto continua intanto a mettere in fuga la popolazione. Da inizio anno, secondo l'Onu, sono più di 100mila gli afghani che sono stati costretti ad abbandonare le proprie case, un dato che segna comunque un calo del 36 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il calo è dovuto sia al fatto che molte persone potrebbero già essere fuggite dalle zone dove i combattimenti si trascinano dal 2016 sia al fatto che l'aumento della povertà costringe molte famiglie a restare nelle proprie terre per la mancanza di risorse, non riuscendo così ad organizzare la fuga verso zone più sicure. Tra gli oltre 100mila sfollati, circa il 58 per cento sono bambini, minori di 18 anni.

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