venerdì 14 settembre 2012
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«Né un nemico né un alleato». Con una franchezza quasi irrituale rispetto ai felpati canoni diplomatici, Barack Obama non nasconde gli attuali rapporti tra la sua Amministrazione e quella del neopresidente egiziano Mohammed Morsi. Così, se l’Egitto di Mubarak era stato per anni uno dei principali punti di riferimento degli Usa nella regione, lo scenario delle nuove relazioni tra i due Paesi resta tutto da decifrare. E non poteva esserci momento migliore come questo per capire che piega prenderanno i futuri rapporti.Incalzato da una destra che non ha perso tempo per rimproverargli i suoi presunti errori, preso in contropiede da una politica estera che torna a irrompere con prepotenza nella campagna elettorale, Obama ha provato ieri a reagire con in mente non solo Bengasi ma anche Il Cairo, dove la locale ambasciata Usa è stata cinta d’assedio dalle proteste contro il film «blasfemo» The innocence of muslims. Se le autorità egiziane non si prendono le loro responsabilità, ha sottolineato il presidente Usa in un’intervista, il problema non potrà che peggiorare. Ma ha garantito: «Nessun atto di terrore resterà impunito». Poi ha chiamato Morsi ribadendogli l’importanza che «l’Egitto segua il suo impegno a cooperare con gli Stati Uniti nel rendere sicure le sedi e il personale diplomatico americano». Al leader egiziano il capo della Casa Bianca ha anche detto che pur respingendo ogni tentativo di denigrare l’islam, «non c’è mai una giustificazione per la violenza contro gli innocenti». Per Obama quello di Morsi è «un nuovo governo che sta cercando di trovare la sua strada e che è stato eletto democraticamente», ma ciò, purtroppo per lui e per gli Stati Uniti, non significa obbligatoriamente che l’indirizzo scelto dalle nuove autorità sia quello di svolgere lo stesso ruolo assunto per anni nella regione dall’Egitto di Mubarak.Il timore che i Fratelli musulmani del neopresidente Morsi siano intenzionati a prendere il controllo dello Stato rovesciando lo scacchiere geopolitico dell’aerea comincia a prendere piede per diversi motivi. Come, ad esempio, una certa ambiguità che caratterizza l’organizzazione e le sue fonti di finanziamento, visto che il movimento non è tuttora legalmente riconosciuto e i suoi bilanci, pertanto, risultano poco trasparenti. Da notare che gli Stati Uniti danno ancora oggi al Cairo 1,3 miliardi di dollari in aiuti militari e in altro genere di assistenza.Ad Obama, Morsi ha assicurato che «non saranno permessi attacchi contro le ambasciate presenti nei nostri territori», ma poco dopo la tensione al Cairo è risalita, con nuovi scontri tra dimostranti e forze di sicurezza vicino alla sede dell’ambasciata Usa in cui sono rimaste ferite oltre 200 persone. «In Egitto, come sapete, e in ogni parte del mondo arabo, monta la rabbia nei confronti di coloro che hanno prodotto un piccolo film che diffama il Profeta», ha commentato il leader egiziano, che ha anche chiesto di mettere fine a «provocazioni» come il film su Maometto. «Siamo fermamente contro coloro che lanciano queste provocazioni e promuovono odio, il Profeta è una linea rossa che nessuno deve oltrepassare», aveva avvertito lo stesso presidente egiziano in un precedente messaggio al Paese in cui aveva invitato alla moderazione nelle proteste.Morsi ha dato il via ieri a un breve tour europeo. In serata era a Roma, dove ha incontrato il premier Mario Monti, mentre oggi vedrà il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Al Cairo, nel frattempo la rabbia non accenna a placarsi. Mentre a Washington la preoccupazione aumenta di ora in ora.HILARY CLINTON: «FILM RIPROVEVOLE E DISGUSTOSO»«Per noi, per me personalmente il film su Maometto è disgustoso e riprovevole. Sembra avere un obiettivo profondamente cinico, per denigrare una grande religione e provocare rabbia». Un giudizio forte e netto quello espresso dal segretario di Stato Usa Hillary Clinton sulla pellicola “The innocence of muslims”. Il film, prodotto negli Stati Uniti, è un atto d’accusa, a tratti veemente, contro l’islam e il suo profeta. Clinton ha voluto precisare: «Washington non ha niente a che fare con questo video», che ha scatenato la rabbia degli islamici. E ha aggiunto: «Gli Stati Uniti respingono con fermezza il contenuto e il messaggio del film».Proprio ieri, intanto, la polizia Usa avrebbe identificato il produttore-regista. Dietro lo pseudonimo di Sam Bacile si nasconderebbe Nakoula Bassely – rivelano i media statunitensi –, un copto di origini egiziane residente in California. Un personaggio ambiguo: è stato condannato per frode fiscale e traffico di droga, Alcuni funzionari avrebbero rivelato che l’uomo avrebbe ammesso di aver finanziato il film, negando, però, di averlo diretto. Il giallo, dunque, resta. Il cast – che ha lavorato alla pellicola – ha comunque voluto “smarcarsi”. Attori e comparse – terrorizzati all’idea di diventare un possibile bersaglio di vendette da parte dei fanatici – hanno diffuso un comunicato in cui si dice che tutti si sentono turbati e «raggirati dai produttori». «Noi non condividiamo al cento per cento il film. Siamo stati ingannati su quale era il vero intento della pellicola». La denuncia degli attori è decisa. Secondo il cast, il copione «è stato interamente riscritto» senza che loro ne fossero al corrente. Nella dichiarazione, si legge che i produttori avevano parlano di un film d’avventura intitolato “Desert Warriors” (I guerrieri del deserto), ambientato nel deserto arabo. Nella versione originale, inoltre, «non c’era il personaggio del profeta Maometto: il protagonista aveva il nome di Dr. Matthews, un carismatico leader del gruppo di guerrieri».
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