lunedì 4 gennaio 2016
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“Plata o plomo”. Soldi o piombo. I narcos messicani non ammettono alcun altra alternativa. Gisela Mota ha rifiutato la “plata”. Anzi, per l’intera campagna ha promesso di ripulire il municipio di Temixco, nello Stato del Morelos, dalla corruzione. A cominciare dalla polizia locale. Il piombo non s’è fatto attendere. Il giorno dopo l’insediamento della neo-sindaco, un commando ha fatto irruzione nella sua casa e l’ha crivellata di proiettili. “Plomo”. La notizia, circolata sabato notte sui Social Media, è rimbalzata in breve sui media internazionali. Probabilmente, a renderla “più appetibile” il fatto che Gisela Mota fosse una ragazza di 33 anni. E che, a dispetto dell’età e del machismo imperante nella narco-cultura, abbia sfidato i potenti “signori della droga”. La giovane, così, è diventata un simbolo: l’emblema dei 73 primi cittadini assassinati prima di lei negli ultimi dieci anni, cioè da quando è esplosa “ufficialmente” la narcoguerra. Gisela, la “numero 74”, è, dunque, l’ultima di una lunga serie. Destinata, probabilmente, a non interrompersi con lei. Non è un segreto che il sindaco sia un lavoro “ad alto” rischio in Messico. Come il giornalista, l’insegnante, il sacerdote, il politico, il poliziotto. La conquista dei “comuni” da parte del narcotraffico si è intensificata negli ultimi anni. L’offensiva lanciata dall’ex presidente Felipe Calderón non ha sconfitto i gruppi criminali bensì ne ha modificato gli equilibri reciproci. Alcuni cartelli si sono “accorpati”, come Sinaloa e Los Zetas, diventando multinazionali delinquenziali. Altri si sono frammentati. Nel caos, lo Stato ha perso il monopolio della violenza, a spese delle mafie. Che (grandi organizzazioni criminali) non si limitano a controllare i “corridoio di spaccio”, ovvero le vie attraverso cui trasportare la cocaina verso i consumatori statunitensi ed europei. Hanno dato il via alla “conquista del territorio”, da cui estrarre risorse con il giro di estorsioni e garantirsi roccheforti sicure, dalle intrusioni delle autorità e dei rivali. Una specie di feudalesimo criminale conseguito attraverso un sistema di corruzione generalizzata e l’imposizione di una serie di candidati amici. I narco-sindaci, come dimostra il caso di José Luis Abarca a Iguala, mente della sparizione di 43 studenti, sono una realtà diffusa, soprattutto nel Messico rurale. Il Morelos – culla della rivoluzione messicana e patria di Emiliano Zapata – è diventato uno dei fronti caldi della narco-guerra. Lo Stato confina con il Guerrero e i suoi campi di eroina, contesi tra cinque mafie: Sinaloa, Familia Michoacana, Beltrán Leyva, Jalisco e Cavalieri Templari. In particolare, a uccidere Gisela Mota, sarebbero stati sicari di Los Rojos, uno dei bracci armati legati al cartello di Beltrán Leyva. Lo Stato ha risposto imponendo il “mando unico”, cioè mettendo il municipio sotto controllo della Gendarmeria nazionale. E promettendo giustizia. Con un tasso di impunità intorno al 98 per cento, però, pochi sono disposti a credere ai discorsi ufficiali.
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