sabato 5 gennaio 2013
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Caro direttore,grazie al calcio ho girato il mondo e conosciuto popoli lontani diversi dal nostro per mentalità, cultura e religione. Credo sia questo il vero patrimonio che ho acquisito facendo il mestiere dell’allenatore. Ho anche allenato tanti calciatori di tante nazionalità, ma nessuno di loro era pakistano. Ora incontro il Pakistan attraverso questa triste e ingiusta storia toccata in sorte ad Asia Bibi. Al presidente Asif Ali Zardari vorrei dire: vada a vedersi una partita di calcio di ragazzini dell’età dei giovani figli di Asia. Li guardi bene mentre corrono e lottano lealmente, felici di giocare tutti insieme senza etichette se non la casacca della loro squadra. In campo non esistono musulmani o cristiani, buoni o cattivi, belli o brutti, ma solo uomini e donne che parlano tutti la stessa lingua, quella universale dello sport. Sono convinto che l’universalità del calcio sia la stessa che si può, anzi si deve trovare anche nella società; perciò il primo diritto che va salvaguardato è quello alla vita. Spezzare un’esistenza come quella di Asia Bibi significherebbe macchiarsi di un delitto indelebile, sarebbe il tentativo criminale di "uccidere" il presente e il futuro della società pakistana, dell’Asia, del mondo intero. E questo non possiamo accettarlo.
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