sabato 20 ottobre 2018
Il figlio dell’ex ministro eritreo perseguitato: non ne sappiamo più nulla. Il dissidente è in carcere dal 17 settembre per aver criticato il leader Isaias Afewerki
Berhane Abrehe è in carcere dal 17 settembre

Berhane Abrehe è in carcere dal 17 settembre

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«Incommunicado». È il termine tecnico usato per definire i detenuti politici in isolamento. In Eritrea il loro numero secondo Amnesty international è almeno 10mila. Prigionieri politici, per motivi religiosi o perché sono fuggiti in Sudan o in Egitto per evitare il servizio militare a vita e sono stati rimpatriati. Nonostante la pace con l’Etiopia e la riapertura dei confini con questa, gli arresti del regime asmarino sono proseguiti. Lo ricorda un ragazzo, il cui padre è stato fermato il 17 settembre scorso, il giorno stesso in cui il presidente eritreo Isaias Afewerki e il premier etiopico Abiy Ahmed firmavano a Gedda lo storico accordo di pace dopo 20 anni di conflitto. Ha deciso di parlare Ephrem, 25enne figlio di Berhane Abrehe, il detenuto «incommunicado» più famoso del Corno d’Africa. Un uomo coraggioso, un eroe per gli oppositori del regime. Ha infatti appena pubblicato un libro, «Eritrea il mio Paese», un lungo e autorevole atto di accusa ad Isaias Afewerki colpevole – a suo dire – di a- ver tradito la rivoluzione diventando un oppressore. Un j’accuseaccompagnato da un video su Youtube in cui sfida il dittatore a un dibattito in tv. Ephrem un anno fa è fuggito dall’Eritrea e ha chiesto asilo agli Usa. Per questa fuga sua madre è stata arrestata a febbraio e anche di lei non si sa nulla.

Ha notizie di suo padre.?

No e sono molto preoccupato per la sua salute perché ha 74 anni ed è malato. Gli è stato trapiantato il fegato al San Camillo a Roma pochi anni fa. Deve assumere farmaci e la sua salute è fragile. I miei fratelli e le mie sorelle vivono in Eritrea, ma non sono riusciti ad avere contatti o notizie di lui.

Si aspettava l’arresto?

Sì. E nonostante sapesse di correre grossi rischi, e noi figli gli avessimo chiesto di fuggire, ha scelto di restare in Eritrea per testimoniare che la pace non ha cambiato nulla e che il popolo continua a soffrire senza libertà e democrazia. Anche il suo libro è stato un atto di amore verso l’Eritrea.

Il libro è scritto in tigrino. Quali accuse muove al regime?

Elenca gli errori di Isaias Afewertki che ha portato l’Eritrea al tracollo e fatto fuggire un gran numero di giovani dal Paese per evitare il servizio militare a vita. Io stesso sono fuggito in Sudan pagando i trafficanti perché non avevo futuro. Mio padre lo accusa di aver tradito la rivoluzione instaurando questa lunga dittatura e gli chiede di andarsene per evitare la guerra civile.

Ma cosa pensa suo padre della pace con l’Etiopia?

Ne era felice, ma si domandava quale saranno i dividendi per il popolo eritreo. Lui sostiene che gli accordi con Addis Abeba, che non sono noti al popolo ma che lui ha potuto vedere, porteranno a una federazione con l’Etiopia e alla fine dell’indipendenza. Finora a pace non ha portato democrazia, i prigionieri politici non sono sono stati liberati, la Costituzione resta sospesa.

Il resto è cronaca di questi giorni. L’Europa e gli Usa continuano a fingere che la pace nel Corno d’Africa abbia risolto la questione interna eritrea. Il 12 ottobre il premier italiano Giuseppe Conte è stato il primo leader occidentale a visitare all’Asmara Isaias Afewerki. Si sa che si è parlato di sostegno alla pace, di accordi economici, non di diritti umani e dei prigionieri politici come Berhane Abrehe. Secondo l’Onu dal 3 al 12 ottobre nei posti di frontiera etiopi sono stati registrati 10mila nuovi richiedenti asilo. Al 90% donne e minori che, liberi ora almeno di spostarsi, vogliono raggiungere i familiari in Europa o negli Usa. La pace senza la libertà non basta a fermare l’esodo di un popolo.

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