mercoledì 22 settembre 2021
Il nuovo dossier di Legambiente unisce i dati più recenti sulle migrazioni climatiche. E in vista della Cop26, chiede di "tutelare chi fugge dagli effetti della crisi climatica"
I migranti ambientali potrebbero essere 1 miliardo entro il 2050

Ansa

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Essere obbligati a lasciare tutto e partire perché la propria terra non è più abitabile. I fenomeni che la crisi climatica porta con sé - desertificazione (e quindi mancanza di acqua e carestie), innalzamento del livello dell’acqua (e quindi inondazioni), temperature estreme (e quindi incendi) - cambiano già concretamente la vita delle persone. Per dare l’ampiezza del fenomeno, oggi Legambiente ha comunicato un dato: i migranti climatici potrebbero essere 1 miliardo entro il 2050.

Il dato si trova nel dossier “I migranti ambientali, l’altra faccia della crisi climatica”. Lì si racconta che stabilire con certezza il numero di persone che saranno obbligate a spostarsi per le alterazioni ambientali non è un’operazione semplice, anche perché non esiste ancora nell’ordinamento internazionale un riconoscimento giuridico della definizione di “rifugiato ambientale”. Ma il dato di Legambiente è concorde con un report pubblicato lo scorso anno Iep - Institute for Economic and Peace, secondo cui 1,2 miliardi di persone residenti in 31 Paesi non riusciranno ad essere resilienti ai cambiamenti climatici e rischieranno quindi lo sfollamento entro 30 anni.

L’Iep riporta anche che 19 tra i Paesi che affrontano le principali minacce in termini di carenze di acqua, cibo ed esposizione a disastri naturali, sono anche tra i 40 Paesi meno pacifici del mondo. Legambiente sottolinea più volte nel suo report questa connessione: le tempeste ambientali e quelle dei conflitti sociali spesso coincidono. Una connessione che si riscontra anche nel nostro Paese: “Quasi il 38% delle nazionalità dichiarate dai migranti arrivati via mare in Italia negli ultimi quattro anni è riconducibile all'area del Sahel”, colpita da “desertificazione” e “accaparramento delle risorse”, ma anche da “conflitti di matrice terroristica”. Se a queste si aggiungono i Paesi dove lo stress ambientale è causa o concausa delle migrazioni, come Costa d'Avorio, Guinea, Bangladesh e Pakistan, la percentuale sale “al 68%”.

Un altro dato interessante sulle migrazioni climatiche è quello sugli sfollati interni, ovvero sulle persone che per disastri ambientali si spostano all’interno del proprio Paese: nel 2020, sono stati 30 milioni nel mondo, su un totale di 40 milioni di sfollati interni totali. Il dato è dell’Imdc, l’Internal Displacement Monitoring Centre, che avvisa: la situazione peggiorerà. Un esempio: per ogni aumento della temperatura globale di un grado centrigrado, aumenterà del 50% la probabilità di spostamento a causa delle migrazioni.

Oggi all’Assemblea generale dell’Onu il presidente cinese Xi Jinping ha detto che la Cina non costruirà nuove centrali a carbone all’estero e che il Paese si impegnerà per rafforzare il sostegno agli Stati in via di sviluppo verso la transizione verde. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dichiarato che gli Usa aumenteranno i loro finanziamenti internazionali per il clima a circa 11,4 miliardi di dollari l'anno. Parole che fanno ben sperare, certo, ma che non risolvono la crisi climatica e i fenomeni che ad essa si collegano. “Abbiamo ancora molta strada da fare per rendere la Cop26 un successo e garantire che questa segni un punto di svolta” ha detto Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite. La Cop26 è la 26a Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, che si terrà a Glasgow a novembre. Legambiente chiede che il tema dei migranti sia per bene sul tavolo, e che la Cop26 sia un’occasione per “ampliare le forme di protezione nazionale per tutelare chi fugge dagli effetti della crisi climatica”, anche in contesto internazionale.

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