venerdì 11 novembre 2016
Ma il presidente Peña Nieto fa buon viso a cattivo gioco: presto un incontro per ricucire i rapporti dopo lo scontro sul “muro”
Il "no" dei messicani all'elezione di Dolad Trump è sceso in piazza (LaPrese)

Il "no" dei messicani all'elezione di Dolad Trump è sceso in piazza (LaPrese)

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Il Messico fa buon viso a cattivo gioco. Bersaglio principale delle boutade anti-immigrati di Donald Trump, il Paese ha incassato il colpo della sua vittoria con apparente nonchalance. Il presidente Enrique Peña Nieto si è affrettato a congratularsi con l’eletto. E, dopo una “cordiale chiamata”, i due hanno fissato un incontro prima del giuramento per delineare una nuova agenda e ricucire le frizioni del passato. La precedente riunione – la visita del tycoon a Città del Messico ad agosto – era stata un disastro.

L’invito a Donald era costato a Peña Nieto, un tonfo di popolarità, per altro già bassa. Capitolo chiuso, giura quest’ultimo. Ma molti fra i messicani non la pensano come lui. Tanti ricordano le proposte del magnate – divenute un tam tam continuo in campagna elettorale - per mettere fine all’”invasione”. Come quella di deportare in massa gli undici milioni di irregolari di origine ispanica residenti negli Stati Uniti. O l’altra di sigillare il confine con un muro, costruito con fondi messicani. O, ancora, il giro di vite sulle rimesse, una risorsa cruciale per il Messico: i soldi inviati dai migranti ai parenti rimasti in patria hanno raggiunto i 15 miliardi di dollari solo nei primi sette mesi dell’anno. Vi è poi la questione del National American Free Trade Agreement (Nafta), il trattato di libero scambio siglato nel 1994, che Trump ha più volte detto di voler cancellare. L’ipotesi preoccupa non poco l’élite industriale e finanziaria di Città del Messico. Non a caso, all’indomani della vittoria, le borse messicane sono crollate e il peso ha perso il 10 per cento del valore rispetto al dollaro. In molti ora prevedono un intervento della Banca centrale attraverso un incremento del tasso di interesse. “L’effetto Trump” non scombussola, però, solo la riva Sud del Rio Bravo. Quella nord – le città statunitensi dislocate lungo i 3.185 chilometri di confine – dove, ogni giorno, entra legalmente mezzo milione di persone per fare compere, studiare o lavorare.

Sono questi ultimi il motore economico di Nogales, Mexicali, El Paso, Laredo o McAllen. Non sorprende dunque che anche molti repubblicani della zona si siano pronunciati per Clinton. Che cosa accadrà ora? Un fatto è certo: una stretta sul flusso transfrontaliero rischia di costare a Trump una rivolta del Sud. Degli Stati Uniti.

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